giovedì 18 marzo 2021

Fanciulle romane alla fontana di Vesta


 

pestilenza primordiale

 Amm. Marc., XXIII, 6, 24

Qua per duces Veri Caesaris, ut ante rettulimus, expulsata, avulsum sedibus simulacrum Comei Apollinis perlatumque Romam in aede Apollinis Palatini deorum antistites collocarunt. fertur autem quod post direptum hoc idem figmentum incensa civitate milites fanum scrutantes invenere foramen angustum, quo reserato, ut pretiosum aliquid invenirent, ex adyto quodam concluso a Chaldaeorum arcanis labes primordialis exiluit, quae insanabilium vi concepta morborum eiusdem Veri Marcique Antonini temporibus ab ipsis Persarum finibus ad usque Rhenum et Gallias cuncta contagiis polluebat et mortibus.

Dopo che Seleucia fu espugnata dai generali di Vero Cesare, la statua di Apollo Comeo (altri fornti scrivono  Cumeo) venne tolta dalla sua sede e portata a Roma e i sacerdoti la collocarono nel tempio di Apollo Palatino. Si narra che dopo il rapimento di questa statua, mentre la città era in fiamme, alcuni soldati, che rovistavano nel tempio trovarono un foro angusto e apertolo, sperando di trovare qualcosa di prezioso, da un recesso chiuso con formule magiche dei Caldei, balzò fuori una pestilenza primordiale che, prodotta dalla violenza di insanabili malattie, all’epoca dello stesso Vero e di Marco Antonino contaminò con contagi e morti tutto l’impero dagli stessi confini della Persia fino alla Gallia e al Reno.

martedì 16 marzo 2021

Palmira - intorno al 385 d. C

 

Prologo

Palmira, intorno al 385 d. C.

 

«Non esiste crimine per chi ha Cristo».

 

Scenute d’Atripe, santo

 

I distruttori venivano dal deserto, e Palmira era la loro meta. Da anni bande di fanatici barbuti vestiti di nero e dediti al saccheggio, armati con poco più che pietre, sbarre di ferro e un inflessibile senso di rettitudine morale, stavano terrorizzando i territori orientali dell’Impero romano.

I loro attacchi erano primitivi, teppistici e molto efficaci. Questi uomini si muovevano in branchi che di lì a poco sarebbero diventati sciami composti da cinquecento individui e dove arrivavano portavano devastazione. I loro obiettivi erano i templi e i loro attacchi potevano essere straordinariamente rapidi. Grandi colonne di pietra che avevano resistito per secoli crollavano in un pomeriggio; volti di statue vecchie di mezzo millennio venivano mutilati in un battito di ciglia; templi che avevano visto nascere l’impero cadevano in un solo giorno.

Si trattava di un’operazione brutale, priva di qualunque rispetto. I fanatici scoppiavano a ridere mentre spaccavano quelle statue “idolatre” e “malvagie”; i fedeli si prendevano gioco di quei resti mentre demolivano i templi, sfasciavano i tetti, deturpavano le statue e intonavano canti che avrebbero immortalato quei momenti gloriosi. «Quegli oggetti sacrileghi», cantavano i pellegrini orgogliosi, «quei demoni e idoli.., il nostro buon Salvatore li ha calpestati». Raramente il fanatismo produce buona poesia.

 

 

Catherine Nixey

Nel nome della Croce

La distruzione cristiana del mondo classico

Bollati Boringhieri, Torino, 2018