martedì 21 aprile 2020

La vendetta cristiana su Roma


La vendetta cristiana su Roma.

Forse non c’è nulla che stanchi tanto, quanto lo spettacolo di un continuo vincitore, per duecento anni si era visto Roma assoggettate a sé un popolo dopo l’altro, il circolo era compiuto, tutto l’avvenire sembrava alla fine, tutte le cose erano organizzate per una eterna condizione. Sì, se l’impero edificava, edificava con l’intenzione dell’« aere perennius »; e noi, noi che conosciamo soltanto la « malinconia delle rovine », possiamo a stento comprendere quella malinconia, di tutt’altra specie, delle costruzioni eterne, dalla quale si doveva cercare di salvarsi come si poteva: per esempio, con la frivolezza di Orazio. Altri cercavano differenti mezzi di conforto contro la stanchezza confinante con la disperazione, contro la coscienza mortifera che ormai tutti i movimenti del pensiero e del cuore fossero senza speranza, che in ogni luogo si fosse piantato il grande ragno, che esso avrebbe implacabilmente bevuto tutto il sangue, dovunque ancora scaturisse. Questo odio vecchio di secoli, senza parole, nutrito dagli stanchi spettatori verso Roma, almeno per tutto il tempo in cui durò il suo dominio, si sgravò, alla fine, nel cristianesimo, coinvolgendo in un solo sentimento Roma, il « mondo » e il « peccato »; ci si vendicò di Roma, ritenendo prossima l’improvvisa fine del mondo; ci si vendicò di Roma, ponendo di nuovo dinanzi a sé un avvenire - Roma aveva saputo trasformare tutto nella sua preistoria e nel suo presente e un avvenire, in confronto al quale Roma non appariva più come il fatto più importante; ci si vendicava di essa, sognando il giudizio ultimo, e l’ebreo crocifisso, come simbolo di salvezza, costituiva l’estrema irrisione verso gli splendidi pretori romani della provincia; infatti essi ora apparivano come i simboli della sventura e del « mondo » maturo per la fine.

Friedrich Nietzsche

Da “Aurora”