venerdì 9 settembre 2011

UN ROSTRO TESTIMONIA LA BATTAGLIA DELLE EGADI

UN ROSTRO TESTIMONIA LA BATTAGLIA DELLE EGADI
SALVATORE FALZONE
La Repubblica 23-08-11, PALERMO

TIRAVA un brutto libeccio il 10 marzo 241 avanti Cristo tra le isole Egadi e la costa trapanese. Quel giorno l' audace ammiraglio Lutazio Catulo riuscì a sbloccare una situazione bellica che sembrava destinata alla paralisi. Le due flotte, quella romana e quella cartaginese, si fronteggiavano ormai senza alcuna prospettiva, quando il fiuto e l' ostinazione del condottiero resero micidiale l' agguato dei romani, costringendo i nemici a una rapida ritirata. Lo scontro, che risolse l' estenuante prima guerra punica, avvenne a poche miglia a nord-ovest di Capo Grosso, estremità settentrionale di Levanzo, proprio nelle acque dove sabato scorso è stata compiuta l' ultima operazione di scavo subacqueo guidata da Sebastiano Tusa: il recupero di un altro rostro, che va ad aggiungersi a quelli già rinvenuti e che «ci dà la certezza - spiega lo steso Tusa, Soprintendente di Trapani - che il luogo della battaglia fu a circa tre miglia a nordovest di Levanzo. Un' altra pagina di storia importate per il nostro passatoè stata dipanata grazie all' azione coordinata della Regione Siciliana e della Fondazione statunitense Rpm Nautical Foundation di George Robb con la direzione scientifica dell' archeologo Jeff Royal». Ricercando sistematicamente in quello spazio di mare con l' aiuto delle tecnologie sofisticate di ricerca oceanografica, gli archeologi hanno fatto ancora centro. «I rostri - continua Tusa - sono i veri protagonisti di quella battaglia. Si tratta di elementi in bronzo applicati alla prua delle navi da guerra, dotati di lame che penetravano nelle fiancate della navi nemiche affondandole. Erano applicati principalmente alle trireme, nave da guerra tra le più diffuse nell' antichità dall' epoca greca arcaica». Ma come viene effettuata, concretamente, una ricognizione del genere? «Grazie alla nave Hercules, fornita delle più aggiornate dotazioni tecniche funzionali alla ricerca archeologica. La nave viene posizionata laddove vogliamo grazie a un sistema automatico che, una volta impostata la rotta o la posizione da mantenere, la mantiene con precisione millimetrica grazie al collegamento satellitare costante che guida direttamente i motori ed il timone. La nave, dotata di tale sistema satellitare automatico di posizionamento, possiede quattro eliche indispensabili per mantenere con esattezza rotta e posizione reimpostata. Questa fattore è determinante per effettuare una ricognizione sistematica dei fondali». Perché? «Perché permette il posizionamento preciso di tutti i bersagli identificati e la possibilità di coprire con esattezza la superficie marina senza il timore di ripassare su aree già esplorate». La prima fase della ricognizione- spiega il Soprintendente- ha visto l' utilizzazione del sonar a scansione laterale che consente di "disegnare" la morfologia del fondale grazie ad emissioni acustiche emanate da un trasduttore installato su un supporto subacqueo trainato detto "pesce" fatto "volare" a distanza controllata dal fondale. «L' immagine desunta dall' eco di riflessione emesso dal trasduttore è decodificata su uno schermo video o stampata su una striscia di carta termica registrando tutte le anomalie del fondale e gli ostacoli incontrati che potrebbero celare elementi di carattere archeologico». E la seconda fase? «È quella - conclude Tusa - che serve ad analizzare con l' occhio umano i bersagli archeologici individuati per comprenderne l' esatta natura o con l' immersione diretta dell' operatore subacqueo archeologo, in basso fondale, o con i veicoli sottomarini a comando remoto».