martedì 30 agosto 2011

Mure Serviane

                                                                        Mure Serviane

Una nave romana tra i bagnanti

Una nave romana tra i bagnanti
VENERDÌ, 26 AGOSTO 2011 IL TIRRENO - Cecina

Scoperta per caso da un turista e segnalata alla guardia costiera

E’ su un basso fondale a 150 metri dalla riva. Pare che sia stata già censita vent’anni fa e poi lasciata lì

A.D.G.
VADA. I relitti sono la passione di qualsiasi sub. Quelli antichi poi sono il sogno dei tombaroli del mare, i cacciatori di anfore e monete. Quando infine il relitto è insabbiato a pochi metri da riva si scatenano un po’ tutti: predatori di saraghi e di monili, esperti e dilettanti, appassionati del mare e semplici curiosi.
Per questo motivo la capitaneria non ha ancora dato la notizia e non ha circoscritto in alcun modo la zona (rendendola altrimenti individuabile e difficilmente sorvegliabile) dove martedì è stata «scoperta» una nave romana. Usiamo le virgolette perché non è escluso che, invece di una scoperta, si tratti di una riscoperta: la nave infatti (risalente al primo o al secondo secolo dopo Cristo) potrebbe essere stata già individuata e censita dalla sovrintendenza una ventina di anni fa, svuotata almeno in parte e poi lasciata lì per l’impossibilità di recuperare lo scafo.
Questo dovranno stabilirlo gli esperti della sovrintendenza archeologica di Firenze (già contattati dalla guardia costiera) e quelli del museo archeologico di Rosignano Marittimo. Nel museo infatti sono custoditi molti vasi di terracotta e anfore recuperati sulle secche di Vada, davanti al vecchio “vadum” (porto) di Volterra dove erano frequenti i naufragi di navi romane. Le secche però si trovano al largo, distanti dalla costa quattro miglia e non centocinquanta metri come nel caso della nave di cui stiamo parlando.
Il relitto è stato individuato da un bronzista fiorentino, Daniele Ugolini, che si è imbattuto in qualcosa di strano mentre faceva il bagno. Maschera e cannello, è sceso giù per vedere meglio quella forma scura e sinuosa. In quel punto l’acqua è bassa, il fondale è sui quattro metri, sabbia mista a posidonia. E l’acqua era chiara.
Così davanti ai suoi occhi è apparsa la sagoma di una chiglia. Era lo scheletro di una barca, il fasciame di un battello lungo circa venti metri e largo 7-8. Il turista ha recuperato un pezzo di legno e lo ha portato a riva. Lo ha guardato e riguardato a lungo. Si è tuffato di nuovo, tornando nel solito punto. Si è immerso e ha afferrato un altro oggetto: il collo di un’anfora con il manico.
Ugolini ha recuperato anche quello, ma non per portarselo a casa. E’ andato alla guardia costiera, ha consegnato i reperti al comandante Alessandro Balisciano al quale poi ha indicato il punto esatto dove aveva avvistato la barca.
Quindi sono partiti gli accertamenti, sui quali al momento viene mantenuto uno stretto riserbo. Così come viene mantenuto top secret il luogo esatto del ritrovamento.

Castellabate, il terreno frana e svela l'antica condotta romana


lunedì 29 agosto 2011

«Sono resti di una nave romana». La conferma (e lo sfogo) dell’archeologa

«Sono resti di una nave romana». La conferma (e lo sfogo) dell’archeologa
SABATO, 27 AGOSTO 2011 IL TIRRENO

Sono resti di una nave romana, conferma la sovrintendenza archeologica, quelli segnalati da un turista fiorentino davanti al litorale di Vada. Un relitto già segnalato nel 1991, saccheggiato dai tombaroli del mare e sul quale comunque sarebbero già tornati volentieri gli esperti del dipartimento: peccato che a forza di tagli non ci sono più i soldi per le ricognizioni improvvise.

E’ quanto spiega Pamela Gambogi, dirigente della sovrintendenza ai beni e alle attività culturali di Firenze. «Ho letto Il Tirreno ma è improprio parlare di nave - dice Gambogi - perché si tratta di poche ordinate, cioè di resti di uno scafo. Sono i resti di una nave oneraria, commerciale, di quelle che viaggiavano cariche di anfore. Ci era stata segnalata nel 1991 e non fu prelevato materiale perché non c’era, a parte qualche frammento ceramico. Era stato già portato via tutto da ignoti, che avevano operato tranquillamente vista la scarsa profondità delle acque».

Il relitto infatti si trova a 150 metri da terra su un fondale di 4 metri. «In Toscana - prosegue Gambogi - da questo punto di vista è avvenuta la più grossa rapina della storia. I primi saccheggiatori hanno fatto razzia negli anni Sessanta e non hanno mai smesso. Siamo ricchi dal punto di vista archeologico così come siamo poveri per quanto ci hanno lasciato i tombaroli. Il valore di quei relitti? Topografico. In ogni caso se avessi potuto sarei venuta subito a Vada. Devo dire che il comandante della guardia costiera, Alessandro Balisciano, è stato molto bravo. Ha eseguito un sopralluogo, un’immersione e una prima ricognizione fotografica. Mi complimento anche con il senso civico di quel turista (Daniele Ugolini, ndr) che ha consegnato i reperti ed è andato subito a fare la segnalazione. Noi invece siamo bloccati qui, indovinate perché... Ci hanno tolto le auto blu, è diventato difficile muoverci anche con le nostre auto a forza di tagli ai rimborsi chilometrici. Io posso anche muovermi da sola, magari in treno, ma senza la mia equipe e soprattutto senza le mie attrezzature cosa faccio? Comunque appena avrò la possibilità farò un ulteriore controllo e una fotocopertura digitale di tutta l’area».

sabato 20 agosto 2011

I nuovi gioielli della Crypta Balbi tra antiche fornaci e preziose pitture

I nuovi gioielli della Crypta Balbi tra antiche fornaci e preziose pitture
LAURA LARCAN
GIOVEDÌ, 28 LUGLIO 2011 la repubblica - Roma

Aperte altre due sale del percorso archeologico in via delle Botteghe Oscure

C´è un luogo a Roma, dov´è possibile scoprire un autentico quartiere della Roma imperiale, intatto nella sua strada basolata, fiancheggiata da edifici a più piani, dove si affacciano le botteghe con tanto di angoli cottura da autentico "thermopolium", il bar dell´epoca. Gli archeologi lo considerano un unicum per le modalità di conservazione, anche rispetto agli isolati di Ostia Antica. È l´area archeologica della Crypta Balbi che coinvolge tutto l´isolato di via delle Botteghe Oscure, da trent´anni al centro di una complessa campagna di scavo insidiata dalle difficoltà finanziarie, ma che da oggi non solo svela due nuovi ambienti restaurati che ampliano il percorso di visita al sito, ma presenta anche il nuovo allestimento museale con i reperti più significativi scoperti in queste tre decadi di indagini, mai esposti prima. Opere che fanno luce sui raffinati e preziosi apparati decorativi della famosa esedra che si apre sul grandioso cortile porticato, annesso al teatro eretto nel 13 a. C. da Lucio Cornelio Balbo, cuore del complesso monumentale.
Gli ambienti nuovi, che si aprono a est dell´esedra, nel cosiddetto edificio nord, testimoniano un´officina metallurgica databile al VI sec. d. C. Qui è stata trovata una grande fornace per la lavorazione del metallo e del vetro, collegata ad una "fornacetta", un forno di pietra lavica con fori per i mantici, abbinato ad un focolare usato forse per la preparazione del combustibile. Dagli scarti rinvenuti, l´attività produttiva riguardava la realizzazione di accessori d´abbigliamento e manufatti in osso lavorato. «L´eccezionalità della Crypta Balbi è quella di offrire una passeggiata in un quartiere di Roma, che dopo l´incendio dell´80 è stato ricostruito e abitato soprattutto dal II al VII secolo d. C. - racconta la direttrice Laura Vendittelli - E gli ambienti che abbiamo riportato alla luce hanno la freschezza di come l´hanno lasciati gli ultimi abitanti, quando li hanno interrati nel VII secolo». A restituire i colori che brillavano in questi ambienti, è il repertorio di frammenti di pitture, prima fra tutte l´inedita porzione di parete dipinta a fondo nero con esili e sinuosi motivi vegetali tracciati con colore chiaro. Un esemplare riconducibile al cosiddetto II stile di età augustea, che decorava una nicchia esterna della cripta.
Quanto al cantiere del museo, rimangono da completare il consolidamento della torre medievale su via delle Botteghe Oscure e la sala conferenze su via Caetani, ricavata da ambienti rinascimentali. Il museo è aperto tutti i giorni dal martedì alla domenica, l´area di scavo solo sabato e domenica).

venerdì 19 agosto 2011

Marmi egiziani e tunisini E la domus dei mosaici torna a risplendere

Marmi egiziani e tunisini E la domus dei mosaici torna a risplendere
VENERDÌ, 29 LUGLIO 2011 IL TIRRENO - Grosseto

In corso nell’area un eccezionale restauro

EL. GI.
Non solo magagne a Roselle, ma anche pavimenti e “domus” che tornano a splendere tra alabastri egiziani e marmi tunisini. Nonostante i tagli dal ministero e la mancanza di fondi per l’archeologia (al collasso in ogni parte d’Italia), c’è una parte del sito di Roselle che resiste al degrado grazie a fondi statali ottenuti (un anno fa con bando presentato da Mario Cygielman) dall’ente interministeriale Arcus. È l’antica domus dei mosaici, nata a cavallo tra l’età repubblicana e l’età imperiale.
Il restauro si concluderà tra poche settimane. «Ne siamo felici - dice Gabriella Poggesi dalla Soprintendenza - perché si tratta di un grande vano che tornerà alla luce nella sua bellezza». Vi lavora la società Re.as di Roma, azienda di restauratori associati che ha vinto l’appalto dalla Soprintendenza. Paolo Gessani, la norvegese Camilla Sinding Larsen e Luca Mariotti stanno ripulendo da sabbia e incrostazioni il pavimento del grande vano, un prezioso “opus sectile” lavorato a intarsio con pezzi di marmo (o in alcuni casi paste vitree) che i nostri avi fecero arrivare da varie parti del mondo, e lo ricostruiscono con la malta. «I marmi erano tagliati da artigiani dotati di una certa abilità - dice la Poggesi - ed erano importati da più parti dell’impero, Turchia, Egitto, Grecia». «Alabastro egiziano e onice - dice Gessani - marmo giallo della Tunisia e marmo “lucullo detto anche africano”, così chiamato pur non arrivando dal continente nero». Gli esperti stanno stuccando con la malta tutte le lastrine frantumate, «e su ogni pezzo rotto mettiamo la malta del suo colore». Un lavoro prezioso, corredato da uno studio “scientifico” che, in questi tempi di affanno, potrebbe diventare cruciale.

mercoledì 17 agosto 2011

Colle Oppio ritrova Apollo

Colle Oppio ritrova Apollo
Sergio Rinaldi Tufi
Il Messaggero 29/7/2011

Scoperto un prezioso mosaico che abbelliva le terme
Scoperto prezioso mosaico a Colle Oppio con Apollo e le muse per abbellire le terme

Colle Oppio ancora alla ribalta: se un giorno si parla dei restauri della Domus Aurea, il giorno dopo si parla della scoperta di un prezioso mosaico parietale rinvenuto nel cosiddetto criptoportico delle Terme di Traiano, raffigurante Apollo con le muse. Sarà presentato questa mattina dal sindaco Gianni Alemanno e da Dino Gasperini e Umberto Broccoli, rispettivamente assessore alle Politiche culturali e sovrintendente ai Beni culturali di Roma Capitale. E questa è la prima cosa un po' complicata da spiegare: mentre i lavori di restauro nella Domus Aurea sono coordinati dalla soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma, quelli di scavo nelle strutture traianee sono di competenza del Comune, e sono coordinati dalla specialista Rita Volpe. Di altre situazioni complicate parleremo subito dopo, ma intanto diciamo qualcosa del mosaico, di cui peraltro ancora poco si sa, non solo perché prima della presentazione ufficiale di informazioni ne trapelano ben poche, ma anche perché lo scavo è ancora in corso, e quella venuta alla luce potrebbe essere solo una parte. Sembra che sia molto grande, e si dovrebbe dire che è una rarità, in quanto collocato su una parete, mentre la maggior parte dei mosaici antichi che conosciamo sono pavimentali: anche se, per la verità, negli ultimi anni qualche scoperta ha modificato un po' il quadro, e un mosaico parietale ormai famoso, con una singolare scena di vendemmia, è stato trovato nel 2005 proprio a pochissima distanza da qui. Apollo, sia nel mondo greco sia in quello romano, è il dio della luce (e in quanto tale si identifica anche con il Sole), della medicina, dell'arte profetica, della musica, della poesia, ed è anche noto come "Musagete", guida delle Muse, spesso raffigurato con tutte e nove, talvolta solo con alcune, come — sembra - nel nostro caso. Apollo era protagonista anche di un'altra opera trovata non lontano nel 1998: l'affresco con veduta a volo d'uccello di una città, che qualcuno volle identificare con Londinium (Londra), ma che Eugenio La Rocca ha interpretato come Città ideale, che assomma la caratteristiche di città diverse. Ebbene, in una piazza spicca una statua del dio, qui però senza Muse. Significherà qualcosa questa reiterata presenza? E in che modo si collegano (se si collegano) queste figure con la scena di vendemmia, e con altri mosaici trovati qui vicino? Rispondere non è facile: i lavori, come si è detto, non sono finiti, e soprattutto è davvero complessa la sovrapposizione delle strutture in questa parte del Colle. Alcune appartengono alla Domus Aurea, la grande dimora di Nerone (che a sua volta si sovrappone a resti di edifici preesistenti) di cui così spesso si torna a parlare, altre alle terme di Traiano, che (dopo un primo impianto più piccolo fatto costruire da Tito nell'80) l'imperatore affidò nel 104 d.C. al suo architetto di fiducia Apollodoro di Damasco. L'orientamento era volutamente diverso da quello della Domus; resti talvolta imponenti sono sparsi sul Colle stesso, e si conosce anche, col nome di Sette Sale, una grande cisterna. Il nostro criptoportico delle meraviglie è uno dei punti in cui il contatto fra i resti neroniani, traianei e forse altri è più ravvicinato e di difficile decifrazione. In sede di presentazione, emergeranno certamente preziose indicazioni al riguardo.

Gli scavi svelano una strada romana

Gli scavi svelano una strada romana
L. P.
Il gazzettino - Padova 29/7/2011

A pochi giorni dalla scoperta di un muro, nuovi ritrovamenti

Una città sotto la città. Dopo un muro romano risalente al primo secolo dopo Cristo, i cantieri sampietrini rivelano un altro scorcio antico. Un tratto di strada, probabilmente di epoca romana è affiorata infatti nella centralissima via Roma. Dove, ieri erano iniziati i lavori per l'innalzamento della tanto contestata palazzina di quattro piani prospiciente il municipio. Le ruspe a dire il vero non hanno fatto nemmeno a tempo a scaldare i motori. È bastato il primo morso nel terreno a ridosso dell'hotel Vulcania, acquistato da un'immobiliare per innalzare l'edificio che ospiterà uffici ed appartamenti, per decretare lo stop al proseguimento delle opere. Il primo accertamento del presenza di un selciato risalente all'antichità ha subito indotto i responsabili del cantiere a chiedere l'intervento della Sovrintendenza. Il reperto, secondo i primi rilievi compiuti dagli archeologi, risulterebbe particolarmente interessante. E documenterebbe la presenza di un'antica strada forse tracciata dal colle di Berta, che sovrasta Montegrotto, al centro dell'attuale perimetro urbano. La situazione dei resti rimane ora al vaglio degli esperti. Che potrebbero, dopo aver catalogato il bene con le relative documentazioni fotografiche, dichiarare comunque la prosecuzione dell'attività edilizia. Il ritrovamento fa ovviamente sensazione. Non fosse altro perchè avviene ad una manciata di giorni dall'affioramento di un muro, anch'esso di epoca romana, dagli scavi per la sistemazione della rete idrica di viale Stazione. Anche in quel caso il reperto è stato catalogato, prima di consentire agli operai di dare seguito alle opere. Non basterà comunque qualche metro di terra e di asfalto a sopire le polemiche da parte di quanti imputano miopia e disinteresse alle amministrazioni di cinquant'anni fa. Poco previdenti nell'autorizzare costruzioni in zone nelle quali era nota la presenza di reperti archeologici. Una di queste, oltre a viale Stazione e piazza Roma, è sicuramente Corso Terme, dalla quale provengono le testimonianze destinate ad essere raccolte nel futuro museo di Villa Draghi. Una città, insomma, costruita sopra un'altra città. Senza che ciò costituisse un segreto per quanti ne autorizzarono le edificazioni.

martedì 16 agosto 2011

Tra le terme di Traiano e la casa di Nerone è venuto alla luce un capolavoro del I secolo

Tra le terme di Traiano e la casa di Nerone è venuto alla luce un capolavoro del I secolo
LAURA LARCAN
SABATO, 30 LUGLIO 2011 IL TIRRENO - - Roma

"Le sorprese non sono finite ma dal 2012 via alle visite"

Il dio, le Muse e i palazzi nel mosaico scoperto sulla Domus Aurea

La sua nudità ha un carattere eroico, esaltato dal forte realismo della muscolatura, e la cetra che tiene nel braccio sinistro evoca subito l´affinità con il genio delle arti. Così appare la figura maschile, identificabile col dio Apollo, al centro del monumentale mosaico parietale di sedici metri di lunghezza, datato alla seconda metà del I secolo d. C., che ha restituito il ventre del Colle Oppio, scoperto nella galleria sotterranea sud occidentale che sosteneva le soprastanti Terme di Traiano. Non conserva una superficie compatta, ma i frammenti sopravvissuti hanno un respiro monumentale. Spiccano le architetture prospettiche, create con un sapiente effetto da trompe l´oeil. E l´illusione è perfetta: le volute dei capitelli, le scanalature delle colonne, i rilievi dei fregi, tutto è descritto con precisione realistica. Cuore della scena, la figura maschile nuda, con il manto sulla spalla: un trionfo di grazia chiaroscurale, dove l´alternanza tonale delle tessere sembra scolpire l´anatomia del corpo. Si individuano anche tracce di due figure maschili, di cui una vestito alla greca senza barba, e una femminile, forse la Musa. Ma è il fondo della parete destra che ha fatto brillare gli occhi agli archeologi. Qui emergono sontuose prospettive architettoniche, decorate con ghirlande, che lasciano vedere la prosecuzione in basso della decorazione: «È molto probabile che il mosaico scenda fino a dieci metri dal piano attuale - racconta Rita Volpe che ha guidato lo scavo - Il mosaico decorava un ambiente grande su cui si affacciava un ninfeo. L´identificazione delle figure con Apollo e le Muse, fa pensare ad un luogo destinato allo svago e alle arti». Un cosiddetto "musaeum", pertinente ad un edificio residenziale di alto livello. Il capolavoro si ritrova incastonato in quel limbo di storia tra la Domus Aurea e il complesso termale voluto da Traiano, testimoniando una vita romana dopo l´incendio del 64 d. C. e prima dell´inaugurazione delle terme griffate dall´archistar dell´epoca, Apollodoro di Damasco, avvenuta nel 109. La galleria della scoperta è la stessa che nel 1998 aveva restituito l´affresco a volo d´uccello della "Città Dipinta" e il mosaico con il Filosofo e la Musa. Fino alla metà degli anni ‘90, parte di questo criptoportico era interrato e utilizzato come rimessaggio dell´Ufficio giardini. È stata l´ultima campagna di scavo avviata nel 2010 con 200 mila euro di fondi Arcus dagli archeologi della Sovrintendenza capitolina ad aver riportato alla luce il mosaico presentato ieri. «Una scoperta straordinaria - commenta il sovrintendente Umberto Broccoli - per le condizione di conservazione e la grandezza. I mosaici parietali sono rarissimi, soprattutto di quest´epoca. È secondo solo al mosaico del Quirinale». «Per valorizzare l´area servono 680 mila euro - annuncia Gasperini - Con una variazione di bilancio mettiamo in campo subito 200 mila euro per continuare lo scavo e renderlo visibile già dal prossimo autunno».

lunedì 15 agosto 2011

Il Celio e la devastazione delle ville patrizie

Il Celio e la devastazione delle ville patrizie
Giuseppe Biamonte
Rinascita 19/7/2011

Un'area di straordinario interesse storico. Il colle che Tacito chiamava Mons Querquetulanus per l'abbondanza di querce
L'urbanizzazione selvaggia dell'ultimo ventennio del XIX secolo fece scempio di ville e statue antiche

Del centinaio di ville urbane che, a partire dal Rinascimento, resero Roma un unicum dal punto di vista del verde, del paesaggio, della cultura e dell'arte, tutte armoniosamente integrate nel tessuto topografico-monumentale di età classica e tardo-antica, nonché irresistibile attrazione per scrittori, artisti, poeti e viaggiatori stranieri, solo una dozzina si salvò dalla cementificazione che si abbatté sulla città nel ventennio successivo alla proclamazione di Roma come capitale del nuovo Regno d'Italia. Tra le sopravvissute, Villa Celimontana ci restituisce, nel suo insieme, un'immagine sufficientemente conforme all'assetto originario del parco dopo il suo ampliamento, avvenuto nella prima metà del seicento, fino alle successive trasformazioni degli inizi dell'Ottocento. E proprio riguardo a Villa Celimontana vedremo come, a onta dei riferimenti storici, artistici, archeologici o culturali in genere che dovrebbero essere alla base della toponomastica delle aree di pubblico interesse (a maggior ragione in quelle locali ben circoscritte come la nostra), si sia mortificata la storia locale per interessi di bottega politica o, più semplicemente, per crassa e presuntuosa ignoranza. Si ricordava la fama che tali monumenti ebbero per i viaggiatori d'Oltralpe, che li considerarono una vera e propria tappa obbligata del loro Grand Tour in Italia. Tracce rilevanti le troviamo nelle opere di autori celebri, quali ad esempio Wolfgang Goethe (Italienische Reise), Stendhal (Promenades dans Rome), Frances Minto Elliot (Diary of an idle woman in Italy), Charles de Brosses (Le président de Brosses en Italie) o Henry James (Italian hours). Scrittori, divenuti veri e propri astigrafi dei luoghi da loro visitati, che ci hanno lasciato descrizioni affascinanti e indelebili dello splendore delle ville romane prima della brutale cancellazione della maggior parte di esse per far posto ai nuovi quartieri residenziali che avrebbero accolto, accanto alle lussuose dimore dei parvenu e degli speculatori finanziari, dei rappresentanti della classe politica emergente e dei boiardi del sorgente stato post unitario, anche le ciclopiche insulae riservate ai travet della nuova burocrazia ministeriale. Caso eclatante fu quello della splendida e famosa Villa Ludovisi. Il complesso seicentesco, la cui estensione venne stimata in poco meno di 250 mila m2, fu venduto dagli ultimi proprietari per permettere una gigantesca lottizzazione dalla quale sarebbe sorto il nuovo rione Ludovisi. E a conferma del famoso detto "pecunia non olet" anche la finanza vaticana, nonostante la demonizza-zione clericale del nuovo Stato unitario e la bruciante Questione Romana, entrò a piene mani nel gigantesco affare speculativo attraverso l'Unione romana e la Società Generale Immobiliare. L'epilogo fu la scomparsa definitiva di una tra le più rilevanti attestazioni artistiche e culturali dell'Urbe, già definita dai più celebri viaggiatori del tempo una delle sette meraviglie di Roma. Tornando a Villa Celimontana ne ricordiamo prima di tutto l'ubicazione in un'area di straordinario interesse storico-archeologico: il Celio. Il colle, che Tacito afferma chiamarsi in origine Mons Querquetulanus, per l'abbondanza di querce che vi crescevano, è legato alla leggenda che ne narra la conquista ad opera dell'eroe eponimo vulcente Celio Vibenna (il Caile Vipinas della saga etrusca) accorso in aiuto di Tarquinio Prisco. Fu crocevia di importanti percorsi viari e sede di complessi monumentali che dall'epoca repubblicana giungono fino al medioevo e al Rinascimento. Ancora oggi essi costituiscono una tra le mete più ricercate dal flusso turistico nella capitale e un patrimonio culturale di inestimabile valore. Nelle traversie riguardanti l'urbanizzazione selvaggia dell'ultimo ventennio del XIX secolo anche il Celio ebbe le sue distruzioni. Lungo l'asse dell'antica Via Caelemontana (attuale arteria di Via di S. Stefano Rotondo), fino al limitare dell'odierna Via di S. Giovanni in Laterano, due magnifiche ville patrizie, con ricche collezioni d'arte, furono abbattute per lasciar spazio ai nuovi insediamenti. La prima, Villa Casali, si trovava all'interno dell'area dell'Ospedale militare. Appartenuta alla facoltosa famiglia dei Casali, imparentatisi poi con i marchesi del Drago, essi erano già grandi collezionisti di opere d'arte alla metà del 500. La villa, acquistata dal Comune di Roma nel 1884, a prezzo d'esproprio, fu abbattuta qualche anno dopo per far posto al nosocomio militare. La seconda, Villa Campana, era proprietà dei marchesi Campana, il cui nome è legato alla ricca collezione di terrecotte, conosciute proprio col nome di "lastre Campana". Essa sorgeva tra Via dei SS. Quattro, l'arteria che porta il nome dell'omonimo complesso monastico che troneggia con la sua poderosa abside sulla propaggine del Caeliolus, e Via di S. Giovanni in Laterano; sul fondo del piazzale d'ingresso il marchese Giampietro Campana vi aveva allestito il Museo delle sculture. Orbene, da tale "fervore" edilizio e dal Piano Regolatore del 1883, Villa Celimontana ne restò fortunatamente fuori. E scampò miracolosamente anche alla cementificazione prevista dal Piano regolatore del 1909, secondo il quale l'area in questione avrebbe dovuto ospitare la costruzione di villini. Si trattò probabilmente di un provvidenziale ripensamento dettato dalle nuove norme sulla tutela delle antichità e belle arti emanate proprio in quell'anno. Immaginiamo che, dall'aldilà, anche il fondatore della villa cinquecentesca, Ciriaco Mattei, marchese di Rocca Sinibalda, abbia potuto tirare un sospiro di sollievo. Il nucleo originario della proprietà (denominata vigna Paluccelli o Paluzzelli e venduta a Giacomo di Pietrantonio Mattei, suocero di Ciriaco, il 28 settembre 1553) su cui sarebbe sorta la villa passò a Ciriaco Mattei come dote della moglie Claudia Mattei, figlia di Giacomo. La profonda passione e l'amore per la cultura classica che il colto Ciriaco profuse nella nuova fabbrica del Celio trasformarono questa parte sommitale del colle in un luogo di delizie aperto al pubblico di studiosi d'ogni dove; un luogo di meditazione e di riflessione, d'ammirazione e di studio delle opere d'arte inserite nelle architetture del palazzetto o casino (dal 1926 sede della Società Geografica Italiana) e della scomparsa loggia di S. Sisto, come pure nel lussureggiante viridarium, che doveva richiamare alla mente i giardini di età romana; ma anche luogo di piacevoli e dolci sensazioni suscitate dal canto degli uccelli ospitati nelle due artistiche uccelliere, oggi perdute, fatte costruire accanto al casino. Una percezione di armonia, insomma, dove l'arte, l'architettura e la natura sembravano sublimarsi in modo perfetto. Casino e loggia furono iniziati dall'architetto Giacomo Del Duca, allievo di Michelangelo, e vennero completati da Giovanni e Domenico Fontana, che furono, con ogni probabilità, anche i realizzatori del giardino celimontano per il quale provvidero al trasporto dell'obelisco capitolino ancora oggi visibile nel parco della villa (l'obelisco, dell'epoca di Ramses II, XIX dinastia 12901233 a.C., e proveniente da Heliopolis, che giaceva nei pressi della chiesa dell'Aracoeli in Campidoglio, fu donato dai Conservatori del popolo romano a Ciriaco Mattei nel 1582 e fatto erigere nel 1587 dal nobile mecenate nel parco della villa. L'iscrizione sul nuovo basamento esprimeva la gratitudine di Ciriaco alle munifiche autorità capitoline per il prezioso dono "(...) ut hortorum eius pulchritudo publico etiam ornamentum augeretur"). Noi troviamo ben esplicitato il mecenatismo matteiano e ciò che per lui rappresentò dal punto di vista ideale la villa, confessando oltremodo la propria prodigalità nelle spese per il complesso celi-montano, nelle parole che lo stesso Ciriaco dettò al notaio Ottavio Capogalli per la redazione del suo testamento, effettuato il 26 luglio 1610, quattro anni prima della sua morte: «Qual giardino per prima et da quaranta anni sonno era vigna, et io con molta spesa et sollecitudine et tempo l'ho redatto in forma di giardino con averci fatte molte et diverse statue pili tavole intarziate, Vasi, Quadri di pitture et diversi marmi, et fattovi all'anni addietro condurre l'Acqua felice et fattovi varie et diverse fontane et redduttolo in quel buon stato nel quale al presente si trova nel che dico, et confesso realmente haver speso più di sessanta mila scudi (...) qual giardino è stato anco di molta mia recreatione, et trattenimento, et di esercitio di virtuosi et di reputatione non poca della casa essendo visto, et visitandosi giornalmente non solo da personaggi et gente di Roma ma da forestieri con buona lode, et fama il che sia detto senza ostentatione et vanagloria ma solo per la verità et per essortatione delli miei posteri a conservarlo». Una ferrea volontà di conservazione, dunque, che porterà alla redazione di un dettagliato inventario dei beni della villa, su volontà testamentaria dello stesso Ciriaco, e che sarà compiuto dal di lui figlio, Giovanni Battista, alla morte del padre avvenuta il 10 ottobre 1614

Pompei, ritrovate le Botteghe dei profumi

Pompei, ritrovate le Botteghe dei profumi
Carlo Avvisati
Il Mattino - Napoli 20/7/2011

Spuntano tre nuove domus
Tre nuove domus in via degli Augustali, la strada dei profumieri pompeiani di duemila anni fa. La scoperta di tre botteghe, all'interno delle quali si producevano essenze profumate, è di una équipe franco - iberica coordinata da Jean-Pierre Brun, direttore del Centre Jean Bérard.

POMPEI. Potrebbe essere via degli Augustali la strada dei profumieri pompeiani di duemila anni fa. Un'arteria commerciale importantissima, la via dei profumieri, che i numerosi studiosi d'archeologia del secolo scorso, pur ipotizzando che si trovasse nel cuore della città distrutta dall'eruzione del Vesuvio nell'agosto del 79 dopo Cristo, non erano mai riusciti a collocare con certezza nel reticolo urbano. La scoperta di tre botteghe, vicinissime tra loro, all'interno delle quali si producevano e si vendevano essenze profumate, fatta da una équipe franco-spagnola coordinata da Jean Pierre Brun, direttore del Centre Jean Bérard di Napoli, lascia invece ipotizzare che lungo quell'asse cittadino fossero posizionate le fabbriche e gli atelier utilizzati per lo smercio al dettaglio dei preziosi profumi prodotti in città o che arrivavano da Capua. Le indagini future su quell'area, se porteranno alla luce altre profumerie, confermeranno che a Pompei si è finalmente trovato, dunque, il quartiere dei profumieri. Assieme a Brun hanno lavorato gli esperti dell'Istituto Valenciano de Conservación y Restauracion de Bienes Culturales de la Generalitat Valenciana, in Spagna. Le prime indagini volte al rinvenimento dell'area in cui si fabbricavano le essenze destinate alla matrone pompeiane, risalgono agli anni 2000. Le ricerche di quest'anno si è appuntata sulle tabernae 26, 27 e 28, situate tra gli edifici scavati appunto lungo via degli Augustali. La strada, che si trova tra via della Fortuna e via dell'Abbondanza, ovvero tra i due Decumani, le arterie principali di Pompei, è sicuramente una delle vie più importanti della città sia perché si trova in pieno centro sia perché a ovest termina con l'accesso diretto al Foro. Le botteghe individuate sono fatte di piccole stanze che, al momento dell'eruzione, non sembrano far parte delle case retrostanti. «La conoscenza del quartiere dei profumieri - spiega Brun - è cresciuta grazie alla scoperta di queste istallazioni dotate di vasche e, particolarmente, di una grande quantità di unguentari di ceramica conservati tra cenere e lapilli sia nelle vasche sia nelle fosse». E, appunto lo scavo della taberna 28 è stato importante da questo punto di vista perché fa risalire l'attività dei profumieri pompeiani alla seconda metà del II secolo avanti Cristo. Un'altra fossa, più antica, ha invece restituito principalmente ceramica da cucina ma senza unguentarii. Nella piccola taberna 27, funzionava, al momento dell'eruzione, una vasca perla produzione di profumi edificata contro il muro di fondo. Sotto il pavimento, invece, è stata scoperta un'altra vasca colma di ollae pertuse (si tratta di anfore bucate) utilizzate per coltivare i fiori, uno degli ingredienti base dei profumi. Nella bottega 26, la maggior parte della zona indagata corrisponde a una cantina distrutta in gran parte da un terremoto. Il suo scavo, oltre a venticinque monete, forse l'incasso dell'ultima giornata di vendite prima della catastrofe, ha consentito di recuperare anche oggetti di bronzo: recipienti usati per pesare gli ingredienti da miscelare perla produzione profumiera, e elementi di una bilancia a tre piatti. All'interno di un braccio della bilancia, poi, è stato trovato un frammento di papiro scritto: forse si tratta di un talismano magico. «La prima fase di queste botteghe - sottolinea l'archeologo - risale alla fine del II secondo secolo avanti Cristo; non conosciamo bene l'ultima fase perché quell'area è stata scavata nel 1820 e dunque sono state sconvolte le indicazioni che avremmo potuto avere da quegli scavi. Il dato importante tuttavia è che trovando vasche e fosse piene di unguentari di ceramica, perché gli unguentari di vetro che vennero utilizzati a Pompei, a partire dalla metà del primo secolo avanti Cristo sono stati trovati nella metà dell'ottocento, ne sappiamo di più su produzione e vendita delle essenze nella Pompei di venti secoli fa».

Spunta un mosaico romano dagli scavi su Colle Oppio.

Spunta un mosaico romano dagli scavi su Colle Oppio.
CORRIERE DI MAREMMA, Sabato 30 Luglio 2011

Roma restituisce i suoi tesori nascosti e il patrimonio archeologico della Città Eterna si arricchisce di nuovi gioielli. Al colle Oppio, proprio di fronte al Colosseo, infatti, è stato rinvenuto un grande mosaico parietale, databile nella seconda metà del I secolo. Un’opera che si estende per quasi 16 metri con raffigurazioni di Apollo e delle Muse. Il mosaico sontuoso, collocato lungo una parete, è emerso dagli scavi archeologici condotti dalla sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, diretta da Umberto Broccoli.

«È una scoperta archeologica inedita ed eccezionale -ha spiegato oggi il sovrintendente Broccoli durante la presentazione alla stampa- datata perchè è collocata sotto le terme di Traiano del 100 dopo Cristo e sopra la Domus Aurea, che è del 60 dopo Cristo. Il mosaico, insomma, può essere datato tra il 100 e 60 dopo Cristo. C’è ancora molto da lavorare in profondità. Ma i ritrovamenti -sottolinea- sono in perfette condizioni di conservazione. Rappresentano Apollo ed architetture fantastiche». «Il mosaico parietale, rinvenuto a Colle Oppio grazie ai lavori di scavo portati avanti dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale all’interno della galleria sud occidentale sottostante le Terme di Traiano -ha affermato Alemanno, in una nota- rappresenta una scoperta archeologica di straordinario valore per la città di Roma». «Questo ritrovamento - ha aggiunto il sindaco- ci deve far riflettere sull’immenso patrimonio di storia e arte che dobbiamo non solo difendere, ma rendere sempre più fruibile al grande pubblico. Il ritrovament apre la strada ad un impegno ancora più consistente da parte dell’amministrazione capitolina. A ribadirlo è l’assessore alle Politiche culturali di Roma, Dino Gasperini. «È una scoperta straordinaria perchè ha un valore simbolico che si affianca a quello storico. Le scoperte che sono state realizzate - ha sottolineato l’assessore Gasperini- ci fanno pensare che scendendo ci sia molto di più di quello che abbiamo trovato. Per proseguire nella nostra opere - fa sapere l’assessore- ci vogliono 680 mila euro in tutto e 200mila euro subito da mettere in campo a breve». «Cercheremo di recuperare le risorse per continuare lo scavo - ha aggiunto- e renderlo immediatamente fruibile e per tutti. Andremo avanti nei lavori: creeremo le passerelle e l’illuminazione che serve». Il mosaico costituisce un esempio raro di decorazione parietale raffigurante un filosofo e una musa su un prospetto architettonico di sfondo, scoperta durante la campagna di scavi del 1998. Si colloca in un’area densa di storia e di reperti archeologici. Il mosaico, infatti, è stato rinvenuto nella galleria sotterranea sud occidentale costruita per sorreggere le soprastanti le Terme di Traiano che sono state realizzate su progetto di Apollodoro di Damasco, architetto di Marco Ulpio Nerva Traiano (imperatore dal 98 al 117 d.C.). Il mosaico venuto alla luce fa parte di un Musaeum: il luogo che nell’antichità era dedicato alle Muse, protettrici delle arti, e dove i ricchi romani si riunivano per ascoltare musica e parlare di arte. Con lo scavo attuale altre figure sono state riconosciute sulla parte destra della parete (lunga quasi 16 metri), fra le quali due maschili, di cui una vestita alla greca ma senza barba, e un’altra femminile, probabilmente una Musa. Lo scavo ha finora raggiunto una profondità media di 2 metri, mettendo in luce solo la parte superiore delle nuove figure. Almeno in due punti è tuttavia possibile vedere la prosecuzione in basso della superficie decorata, ed è presumibile che la parete scenda fino a 10 metri dal punto attuale, al livello corrispondente a quello del ninfeo che vi si affacciava

domenica 14 agosto 2011

Mura romane dagli scavi del metrò. Spunta l'ippodromo di Neapolis?

Mura romane dagli scavi del metrò. Spunta l'ippodromo di Neapolis?
CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 05 luglio 2011(ultima modifica: 06 luglio 2011)

Napoli i lavori in via nolana. ritrovate anche ossa di animali

Resti di opus reticulatum: nei pressi del cantiere
sorgeva la struttura sportiva dell'antica città

Nuove interessanti scoperte archeologiche affiorano in via Nolana, in pieno centro storico di Napoli (zona Rettifilo). Lo scavo iniziato un anno fa a seguito dei lavori per la realizzazione del pozzo di ventilazione della nuova metropolitana di Napoli, ha riportato alla luce resti di fondazioni precedenti al risanamento. Ora tocca alle mura d’epoca romana.

SCAVO ESTIVO - Nell’area di scavo di via Nolana, un gruppo nutrito di archeologi, sta riportando alla luce parte di mura in opera reticolata d’epoca romana. La scoperta, oltre quattro metri dall’attuale piano stradale, aggiunge interessanti informazioni circa il perimetro sud-orientale dell’antica Neapolis, area deputata allo svago e alle attività sportive.


OPERA RETICOLATA - Quando si scava in un'area ricca di storia come Napoli, le sorprese non mancano. Nel caso specifico i rinvenimenti di via Nolana mostrano, sotto il livello delle fondazioni precedenti all’intervento del risanamento, anche parti di mura in opera reticolata d’epoca romana. Nello stesso punto ma ad un livello di poco superiore diversi mesi fa erano state estratte alcune ossa e una grossa anfora, quasi integra.

IPPODROMO DI NEAPOLIS? - Sovrapponendo la pianta di Napoli greco-romana, di Bartolomeo Capasso risalente al 1904, con l’attuale area di scavo, sorprende la vicinanza con il settore nord orientale dell’ippodromo dell’antica Neapolis. Si tratta della struttura sportiva o di ambienti di pertinenza e di servizio? In attesa di ulteriori scoperte, stretto riserbo da parte della soprintendenza napoletana. Fino ad oggi lo scavo ha permesso di recuperare diversi reperti, in gran parte vasellame. Tuttavia, diverse ossa di animali (cavalli?) sono state rilevate, durante gli scavi di riqualificazione, anche nell’area dell’odierna porta Nolana.

Antonio Cangiano

sabato 13 agosto 2011

Il ponte romano sepolto nella morsa delle erbacce

Il ponte romano sepolto nella morsa delle erbacce
EMANUELE FANCELLU
NUOVA SARDEGNA – 9 luglio 2011

PORTO TORRES. Cambiano le amministrazioni, ma il discorso è sempre lo stesso: della valorizzazione del ponte romano non interessa granchè. Anche quest'anno, come in passato, non ci si è mossi per tempo per liberare il gigante dall'abbraccio mortale del fitto canneto che cresce davanti alle sue arcate nel lato mare, una sorta di giungla che ne impedisce la vista da lontano e da vicino. A poco serve avere tagliato il guard-rail per accedere al passaggio se poi ciò che si vede è nulla. Sullo stesso passaggio giace, praticamente abbandonato, un lastrone in trachite rossa dell'antica pavimentazione con ancora inciso il profondo segno del passaggio dei carri in epoca romana. Il ponte è così abbandonato che negli interstizi tra un blocco e l'altro sono ricresciute erbacce e piante infestanti. Sul ponte in legno interno transitano tranquillamente le moto, mentre sul lato monte, quello dove c'è il maneggio, una recinzione troppo vicina al ponte impedisce di poter apprezzare l'imponente monumento dal basso, senza dover chiedere una cortesia alle ragazze del maneggio. L'area circostante il ponte è poi luogo prediletto per lasciare buste di immondizia che, una volta straziate dai randagi, cospargono di rifiuti il ciglio di via Ponte Romano. Un altro canneto fa bella mostra di sé all'esterno del parco sul lato che guarda il ponte, mentre segnalata da anni ma mai rimossa, una carcassa di Panda in un terreno privato deturpa il passaggio per il Ponte. Erano operazioni da fare in primavera, in modo che i futuri interventi fossero di ordinaria amministrazione, ma come sempre a Porto Torres di ordinario c'è solo la trascuratezza.

Sotto Colle Oppio spunta un mega-mosaico. È del I secolo dopo Cristo e raffigura Apollo e le Muse. Gli esperti: «Scoperta eccezionale»

Sotto Colle Oppio spunta un mega-mosaico. È del I secolo dopo Cristo e raffigura Apollo e le Muse. Gli esperti: «Scoperta eccezionale»
IL GIORNALE – 30 luglio 2011

Lì, nel primo secolo dopo Cristo, le Muse erano ancora di casa, e volentieri accoglievano nel loro incantevole «salotto» gli antichi romani colti, amanti della musica e delle parole alate. Li, ieri, Roma ha offerto al mondo il suo ennesimo tesoro archeologico: un mosaico parietale lungo circa sedici metri e alto due (ma che pare scenda nel sottosuolo per altri dieci metri) sul quale spicca, nelle vesti di orgoglioso anfitrione, niente meno che Apollo. Nudo, con il manto sulla spalla e la cetra sul braccio sinistro, i muscoli del torace e dell'addome rappresentati con gli effetti in chiaroscuro dati da tessere di tre gradazioni di colore, gli fanno compagnia altre figure, tre femminili (evidentemente muse) e due maschili, di cui uno vestito alla greca ma senza barba. Siamo sul Colle Oppio, all'interno della galleria sud-occidentale sotto le Terme di Traiano e sopra la Domus Aurea, quindi in uno dei tanti epicentri delle meraviglie dell'Urbe. Da ricordare che nei pressi, soltanto tredici anni fa era emerso l'affresco della «Città ideale». E da notare anche che questa galleria era stata utilizzata, fino agli anni Novanta, come deposito del Servizio Giardini dell'Ama e quindi riempita di terra, vecchie pan-chine e attrezzi, nella consueta (e inevitabile) commistione romana fra antico e moderno. «Sono emozionato, soddisfatto e orgoglioso per un simile risultato dello scavo che, interrotto nel 1998, abbiamo ripreso nel 2010, ha detto l'assessore capitolino alla Cultura Dino Gasperini presentando il risultato delle ricerche in compagnia di Umberto Broccoli, a capo della sovrintendenza ai beni culturali del Comune che ha portato avanti gli scavi. «Faremo al più presto - ha proseguito Gasperini - una variazione di bilancio per avere i 200mila euro necessari a proseguire gli scavi e a rendere fruibile l'area al pubblico». Poi serviranno altri 480mila euro per portare alla luce l'intera opera. «Questo ritrovamento- ha commentato il sindaco Gianni Alemanno - ci deve far riflettere sull'immenso patrimonio di storia e arte che dobbiamo non solo difendere, ma rendere sempre più fruibile al grande pubblico. Ora dobbiamo fare un ulteriore sforzo per trovare le adeguate risorse finanziarie per proseguire nei lavori e aprire il cantiere al pubblico».

venerdì 12 agosto 2011

E nell'età dei Flavi teneva banco Apollo Scoperte A Colle Oppio un mosaico col dio e le muse

E nell'età dei Flavi teneva banco Apollo Scoperte A Colle Oppio un mosaico col dio e le muse
VALERIO MACCARI
IL TEMPO – 30 luglio 2011

Apollo, restituito alla luce. Dopo quasi venti secoli, un mosaico del dio, che i romani ancora più dei greci identificavano con il sole, riemerge dal ventre del Colle Oppio. Un'opera di eccezionale rilevanza archeologica e artistica, databile intorno alla seconda metà del primo secolo, che raffigura Apollo nudo, con un manto sulla spalla e la cetra sul braccio sinistro. Il dio è ritratto in compagnia delle muse, e ha le fattezze di un giovane muscoloso, dall'addome cesellato con un raffinato chiaroscuro, ottenuto con l'utilizzo di tessere di tre gradazioni diverse. A trovarlo è stata la Sovraintendenza dei Beni Culturali, che ha ripreso quest'anno gli scavi archeologici dell'area sottostante il criptoportico delle Terme di Tra-iano. Siamo sulle pendici sud occidentali del colle, a breve distanza dalla domus aurea neroniana e il Colosseo. Qui si apre una galleria sotterranea di una ventina di metri, costruita per sostenere le terme dell'imperatore, realizzate su progetto di Apollodoro di Damasco. Diventata, nel corso dei secoli, una delle tante grotte dell'Oppio, la galleria ospitò in epoca napoleonica le munizioni dell'esercito francese, e negli anni'80 fu deposito dell'Ama. Solo verso la fine degli anni '90 l'area diviene oggetto di indagine archeologica. E restituisce più capolavori: come l'affresco della «città ideale», riportato alla luce nel 1998, e il mosaico del Filosofo e della Musa. Il mosaico di Apollo sembra essere una continuazione di quest'ultimo: lungo 16 metri, si estende su una parete che è stata ancora solo parzialmente scavata, e che potrebbe proseguire per dieci metri di profondità. Il dio costituiva probabilmente la figura centrale di una composizione che adornava un Musaeum, la stanza dedicata alle arti di una ricca domus privata, costruita dopo l'incendio di Roma del 64 dopo Cristo. L'imperatore Traiano, per la costruzione delle sue terme popolari, nel 109 d.c, non esitò a distruggere. «A quei tempi l'urbanistica aveva altri metodi», scherza il Sovraintendente Umberto Broccoli, presentando il reperto. «Qualcuno qui ha costruito una grande casa patrizia quasi totalmente coperta di mosaici e pitture, dunque ricchissima, e più o meno nell'anno 100 qualcun altro ha deciso che questa casa non dovesse più esistere, e sopra si realizzò una grande area termale. Un'operazione urbanistica spericolata, un esproprio di una casa patrizia per costruire una struttura popolare». Che però, paradossalmente, ha permesso di conservare un settore di oltre 1000 metri quadri di Città antica, finora sconosciuto, la cui vita si è interrotta alla fine del I secolo. L'intenzione della sovraintendenza, adesso, è di completare gli scavi dell'area e di restituire il chilometro quadro di Roma perduta ai romani. Per farlo, però, necessitano fondi: 200mila euro per continuare lo scavo e renderlo visibile al pubblico già dal prossimo autunno e altri 480 per sostenere tutto il cantiere dell'area del criptoportico. Risorse da trovare, suggerisce Broccoli, anche con uno sponsor. «Sono stanco dei dirigenti che si piangono addosso. Le risorse vanno cercate, siamo nel Terzo Millennio e la crisi economica è generalizzata, dunque per la cultura è importante pensare a nuove forme di finanziamento». Il metodo a cui guarda Broccoli è quello trovato per il Colosseo, il restauro grazie alla sponsorizzazione del patron di Tod's. «Della Valle insegna: il tempo delle vacche grasse è finito, dunque ben venga la pubblicità governata, come appunto la sua al Colosseo. E ben venga anche l'uso privato o privatizzabile del bene».

giovedì 11 agosto 2011

Il mosaico di 16 metri del I secolo d.C.

Il mosaico di 16 metri del I secolo d.C.
LIBERO – 30 luglio 2011

È un raro mosaico parietale, con scene di raffinata capacità descrittiva, tra architetture in prospettiva e una figura maschile in piedi, solo forse il dio Apollo, con due figure femminili, forse le Muse. L'identificazione non è certa e gli archeologi ancora non confermano. Si estende per quasi sedici metri, per un'altezza di due metri, ma solo indicativa perché lascia presagire ancora porzioni di decorazioni musive che scendono in profondità, e per cui si scaverà almeno fmo a dieci metri. È il mosaico scoperto nel cosidetto criptoportico delle Terme di Traiano, presentato ieri dall'assessore alla Cultura di Roma Capitale e dal sovrintendente capitolino Umberto Broccoli. «Una scoperta straordinaria», commenta Broccoli, «per le perfette condizione di conservazione, perla grandezza. È datato alla seconda metà del I sec. Poiché si trova sopra la Domus Aurea, e sotto le terme di Traiano inaugurate nel 109 d.C. Possiamo darne una datazione certa tra il 60 e il 100».

mercoledì 10 agosto 2011

È partita un'altra campagna di scavi nel teatro romano.

È partita un'altra campagna di scavi nel teatro romano.
Ercole Bersani
IL TEMPO 09/07/2011

Siamo all'ottava dal 1995, quando si decise di riportare alla luce l'antico impianto, scoperto nel cuore del centro storico alto. Sedici anni non sono bastati a disseppellire un bene archeologico di inestimabile valore. La cavea è ancora in gran parte nascosta da un fabbricato che si trova in via La Palma. (solo un terzo è stato riscoperto). Il Comune aveva avviato una procedura d'esproprio contro la quale si è opposto uno dei proprietari. Il Tar ha respinto il ricorso. La decisione potrebbe significare un passo importante sulla via della demolizione. Stessa sorte è attesa per lo ìsteccone” rimasto in piedi su via Urbano II. Intanto l'ulteriore contributo ministeriale (circa 100 mila euro) messo a disposizione della Sovrintendenza archeologica potrà permettere di continuare gli scavi sotto la scena. Il teatro antico di Terracina risale alla 1^ metà del 1° secolo a.C. Si presenta come una struttura abbastanza grande, capace di contenere circa 5-6 mila persone. Le operazioni di scavo hanno permesso finora di conoscere esattamente il profilo della costruzione e di rinvenire tanti reperti, tra cui pregevoli sculture, che facevano da arredo alla struttura destinata al divertimento di quella che era, all'epoca, una città economicamente florida.

Ruderi eccellenti: la Crypta Balbi e la casa di Monte Porzio Catone

Ruderi eccellenti: la Crypta Balbi e la casa di Monte Porzio Catone
LI. LOM.
IL TEMPO – 30 luglio 2011

Oggi e domani Roma apre al pubblico un «parco archeologico» in più. E chi invece esce dalla città, e va verso i Castelli troverà un nuovo scavo di villa antica emerso a Monte Porzio Catone. Il mini parco archeologico capitolino permette una passeggiata in un antico quartiere della Roma del sesto secolo dopo Cristo. E a ridosso della Crypta Balbi, in via delle Botteghe Oscure. Sono appena terminati i restauri di ambienti che ospitavano un'officina metallurgica. Nel nuovo allestimento museale spicca una parete dipinta a fondo nero con tracce di un motivo vegetale stilizzato. Il decoro era su una nicchia esterna alla cripta e risale in questo caso all'età augustea. In mostra anche la scultura del Cautes, divinità minore del mitraismo, proveniente dallo scavo del mitreo, ceramiche da mensa, crogioli, utensili del fabbro. Ed ecco anche una grande fornace a riverbero per la lavorazione di manufatti metallici e, forse, del vetro, con appoggio per i mantici del tipo di quelli ben noti nel medioevo. Nella fornace venivano posti i crogioli per la fusione del metallo. Nell'angolo nord-ovest, un focolare forse per la preparazione del combustibile. Perché qui si fabbricavano accessori d'abbigliamento, manufatti in osso lavorato, fibbie. Lucio Cornelio Balbo- l'homo novus dell'epoca augustea, spagnolo, generale, pensatore, letterato e console - aveva eretto in questo luogo, nel 13 avanti Cristo, un teatro. E attorno alla sua Cripta e a un portico ad esedra si stende un complesso di insulae poi soffocate dai palazzi dell'Ottocento e del Novecento. Lo scavo ha documentato come nel sito la vita è continuata dopo l'età antica con una serie di trasformazioni e riusi nello stesso monumento protrattesi ininterrottamente attraverso il medioevo e il rinascimento, fino ai nostri giorni. Ora i ruderi, che fanno capo al Museo Nazionale Romano, sono visitabili il sabato e la domenica (10.45, 11.45, 12.45, 14.45, 15.45, 16.45). La visita guidata si effettua tutte le domeniche alle ore 15 per un massimo di 30 persone e la durata di un'ora e quindici minuti (info 06.39967700). A Monte Porzio Catone invece, presso Casale Celli, la rimozione delle sterpaglie ha portato alla luce una Villa Romana databile tra il II e I secolo a.C. «Il lavoro svolto è stato molto importante - dice l'archeologo Andrea Pancotti - Sono stati individuati dati che ampliano le conoscenze del sito. Per ora è emerso un muro di terrazzamento a nicchie che sosteneva un giardino nel quale era presente una grande piscina di circa 30 m di diametro». «L'area abitativa - spiega poi l'archeologo Valente - è situata sotto l'attuale Casale Celli. Tempo fa pubblicai dei documenti di fine '800, degli schizzi, che testimoniavano la presenza di muri e pavimenti a mosaico policromo inglobati al piano terreno del Casale. L'area ripulita dalle sterpaglie apparteneva al giardino, nel quale sorgeva la piscina a cielo aperto».

martedì 9 agosto 2011

Ecco il colosso di Caligola una statua in forma di Zeus

Ecco il colosso di Caligola una statua in forma di Zeus
FRANCESCA GIULIANI
MERCOLEDÌ, 13 LUGLIO 2011 la repubblica - Roma

Sul lago di Nemi, il regno dell´imperatore

Perfido e corrotto, l´imperatore aveva una lunga serie di manie di cui lo storico Svetonio riferisce con la consueta dovizia di dettagli. Tra queste, i calzari militari che gli fasciavano spesso i piedi, alternati a certe babbucce di foggia femminile. A quelle scarpe stringate Caligola deve il suo nome, un particolare questo e poi il tratto distintivo che ha reso possibile l´identificazione dell´unica statua romana arrivata fino a noi che lo raffiguri seduto su un trono decorato, potente e solenne come il primo di tutti gli dei, Zeus. È appena tornata alla luce, come si dice, recuperata dalla Guardia di Finanza che l´ha ritrovata nascosta in un camion e scomposta in tre pezzi, coperta da un telo e mista a calcinacci, a un passo dall´essere fatta partire per la Svizzera, destinata al mercato giapponese o russo.
Il ritrovamento pur fortunato della statua di Caligola, annunciato dai vertici della Finanza, Ignazio Gibilaro, comandante provinciale e Massimo Rossi, a capo del gruppo archeologico, è stato il lieto fine di una storia ma poi in parte anche l´inizio di un´altra. Dalla statua, e dall´area da cui proveniva la persona che la stava trasportando, i finanzieri insieme agli archeologi sono arrivati ad individuare un´area sulle rive del lago di Nemi poi scavata dalla Soprintendenza per i Beni archeologici del Lazio, luogo di scorribande di quelli che un tempo erano i tombaroli, ora sono veri vandali armati anche di sofisticate tecnologie per trafugare reperti in una zona ancora ricchissima. Gli scavi archeologici sono riusciti a completare il quadro di una zona già ben nota agli studiosi: ne facevano parte un santuario, una grande villa, la residenza estiva con il suo ninfeo a forma di ventaglio, giochi d´acqua e, al centro di una nicchia, la statua. Insomma, un complesso imperiale fastoso ai bordi del lago, regno dell´imperatore che si spostava da una riva all´altra del lago a bordo delle celebri navi andate distrutte nel 1944.
Ora il Caligola come Zeus con i suoi calzari militari sarà restaurato nei laboratori di Palazzo Massimo prima di essere esposto nel Museo delle navi di Nemi, diretto da Giuseppina Ghini. Scomposta, corrosa dall´acidità del terreno, la statua ha comunque molti "simili" conservati e famosi: dal Costantino dei Capitolini allo Zeus Verospi dei Vaticani. Una figura imponente che misura oltre due metri e mezzo d´altezza. Il viso è sfigurato dal tempo, quasi irriconoscibile mentre la seduta imperiale è riccamente decorata. Accanto al cuscino dalle frange pesanti, la decorazione è a metopi o formelle contenenti una "nike" con vaso, una fanciulla fiore e una gorgone che fuoriesce dalle onde.

Il dio, le Muse e i palazzi nel mosaico scoperto sulla Domus Aurea

Il dio, le Muse e i palazzi nel mosaico scoperto sulla Domus Aurea
LAURA LARCAN
LA REPUBBLICA – 30 luglio 2011

La sua nudità ha un carattere eroico, esaltato dal forte realismo della muscolatura, e la cetra che tiene nel braccio sinistro evoca subito l'affinità con il genio delle arti. Così appare la figura maschile, identificabile col dio Apollo, al centro del monumentale mosaico parietale di sedici metri di lunghezza, datato alla seconda metà del I secolo d. C., che ha restituito il ventre del Colle Oppio, scoperto nella galleria sotterranea sud occidentale che sosteneva le soprastanti Terme di Traiano. Non conserva una superficie compatta, ma i frammenti sopravvissuti hanno un respiro monumentale. Spiccano le architetture prospettiche, create con un sapiente effetto da trompe l'oeil. E l'illusione è perfetta: le volute dei capitelli, le scanalature delle colonne, i rilievi dei fregi, tutto è descritto con precisione realistica. Cuore della scena, la figura maschile nuda, con il manto sulla spalla: un trionfo di grazia chiaroscurale, dove l'alternanza tonale delle tessere sembra scolpire l'anatomia del corpo. Si individuano anche tracce di due figure maschili, di cui una vestito alla greca senza barba, e una femminile, forse la Musa. Ma è il fondo della parete destra che ha fatto brillare gli occhi agli archeologi. Qui emergono sontuose prospettive architettoniche, decorate con ghirlande, che lasciano vedere la prosecuzione in basso della decorazione: «E molto probabile che il mosaico scenda fino a dieci metri dal piano attuale — racconta Rita Volpe che ha guidato lo scavo — Il mosaico decorava un ambiente grande su cui si affacciava un ninfeo. L'identificazione delle figure con Apollo e le Muse, fa pensare ad un luogo destinato allo svago e alle arti». Un cosiddetto "musaeum", pertinente ad un edificio residenziale di alto livello. Il capolavoro si ritrova incastonato in quel limbo di storia tra la Domus Aurea e il complesso termale voluto da Traiano, testimoniando una vita romana dopo l'incendio del 64 d. C. e prima dell'inaugurazione delle terme griffate dall'archistar dell'epoca, Apollodoro di Damasco, avvenuta nel 109. La galleria della scoperta è la stessa che nel 1998 aveva restituito l'affresco a volo d'uccello della "Città Dipinta" e il mosaico con il Filosofo e la Musa. Fino alla metà degli anni '90, parte di questo criptoportico era interrato e utilizzato come rimessaggio dell'Ufficio giardini. È stata l'ultima campagna di scavo avviata nel 2010 con 200 mila euro di fondi Arcus dagli archeologi della Sovrintendenza capitolina ad aver riportato alla luce il mosaico presentato ieri. «Una scoperta straordinaria — commenta il sovrintendente Umberto Broccoli — per le condizione di conservazione e la grandezza. I mosaici parietali sono rarissimi, soprattutto di quest'epoca. E secondo solo al mosaico del Quirinale». «Per valorizzare l'area servono 680 mila euro — annuncia Gasperini — Con una variazione di bilancio mettiamo in campo subito 200 mila euro per continuare lo scavo e renderlo visibile già dal prossimo autunno».

lunedì 8 agosto 2011

Capitolium, il recupero affonda le radici nella storia della città

Capitolium, il recupero affonda le radici nella storia della città
GIORNALE DI BRESCIA – 6 agosto 2011

Fissato per metà novembre il termine dei lavori al tempio Paroli: «Un intervento che arricchisce il nostro patrimonio» Procedono ormai da due anni i lavori messi in atto dall'amministrazione comunale per il rilancio del complesso museale di Santa Giulia, e di tutta l'area limitrofa. Un intervento per cui è servito «un'impegno costante sui numerosi siti di interesse archeologico di via Musei - spiega il sindaco Adriano Paroli - grazie all' importante collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali e la Soprintendenza Archeologica stiamo dando vita ad un progetto organico di riqualificazione che inglobi l'intera area». Le principali zone di ricerca e recupero «sono quelle del pronao del Capitolium e riguardano anche il prezioso teatro romano. Attualmente infatti è in corso una riflessione complessiva sull'area archeologica del tempio tesa ad una migliore conoscenza del patrimonio in essa racchiuso e all'individuazione delle tappe principali per giungere ad una efficace valorizzazione». Un processo che su questa linea, secondo l'intenzione degli amministratori, vuole allargare sempre più l'area d'interesse culturale, artistico e turistico della città. «In questo senso - continua il sindaco - penso anche all'importante recupero che la fondazione Cab sta facendo della chiesa dedicata a Santa Maria della Carità». E riguardo al sito del Capitolium: «Si tratta di un tassello fondamentale che arricchirà il nostro panorama archeologico museale, che da pochi mesi è stato riconosciuto e valorizzato come patrimonio dell'umanità dall'Unesco, per il quale anche Ministero e Regione hanno manifestato forte entusiasmo e soddisfazione. Tutta l'area diverrà quindi uno dei musei storiografici più significativi per l'intera cultura europea. Dalle origini etrusche, romane e poi ceno-mani, passando per l'alto ed il basso medioevo, ospitando culture e società come quelle longobarde, Brescia può raccontare la storia degli ultimi due millenni, grazie a luoghi e reperti di inestimabile valore storico, culturale e sociale». L'opera di rilancio del sito romano sarà affiancata al recupero dei nuclei costituiti dai monumenti antichi (santuario repubblicano, Capitolium, teatro romano, decumano) e dai palazzi (casa Pallaveri e palazzo Maggi Gambara) in un progetto complessivo e organico di apertura al pubblico. «In riferimento agli obiettivi specifici delineati dal progetto - prosegue Andrea Arcai, assessore alla Cultura in Loggia - la Soprintendenza ha proseguito in questi mesi con lo studio scientifico dell'area. In particolare gli scavi dell'ex Santuario Repubblicano e della zona antistante il pronao hanno permesso di apportare elementi straordinariamente innovativi nella complessa sequenza degli avvicendamenti edilizi verificatesi tra il II secolo a.C. ed età Flavia, fino a tutto il Medioevo». Ne sono testimonianza le sequenze stratigrafiche rilevate nel corso degli interventi, che hanno messo in rilievo la presenza di resti insediativi molto più antichi rispetto a quelli del Santuario Repubblicano». Alle attività di scavo al pronao si è quindi rivelato funzionale l'affianca-mento dei lavori specifici di restauro, atti a completare un progresso congiunto di acquisizione di dati scientifici portato avanti nei diversi sviluppi del progetto. «Guardando invece all'attuale restauro della struttura del Pronao del Tempio, comprensivo di timpano e colonnato, portici laterali, scalinata, facciata esterna del tempio, sono stati riconosciuti aspetti di notevole pregio - conclude il sindaco Paroli -. Il lavoro consentirà di fermare tutti i fenomeni che stanno causando un rapido degrado dei manufatti. Se a ciò si aggiunge che la scalinata è in diretto collegamento con il grande scavo archeologico in corsa prospiciente le strutture architettoniche originali del Tempio, emerge la necessità scientifica di far procedere insieme gli interventi». Queste fasi saranno propedeutiche al musealizzazione delle tre celle del tempio il cui progetto generale è stato assegnato parte del settore Edilizia monumentale. La data di termine lavori è già stata fissata entro la seconda metà di novembre. Invece per i lotti successivi, quelli riguardanti gli interventi sulle strutture del teatro romano e degli storici palazzi circostanti, Maggi Gambara e casa Pallaveri, sono ancora in corso valutazioni ed analisi preliminari.

La Sovrintendenza autorizza la prosecuzione dei lavori

La Sovrintendenza autorizza la prosecuzione dei lavori
Irene Zaino
Il Mattino - Padova 1/8/2011

I lavori alle fognature di viale Stazione proseguono nonostante i ritrovamenti d'epoca romana. A dare il nulla osta è stata la Sovrintendenza ai Beni archeologici che è arrivata in città per visionare il muretto romano venuto alla luce durante i lavori. Probabilmente si tratta dei resti di un'antica vasca termale vista anche la zona del rinvenimento, a due passi dagli scavi romani, «I funzionari hanno effettuato un sopralluogo e fatto tutti i rilievi. I lavori possono proseguire con tutte le accortezze per preservare l'integrità del manufatto», ha dichiarato il vice sindaco Luca Squarcina. Ma a dar del filo da torcere all'amministrazione è il consigliere di «Lega Nord-Montegrotto per tutte» Alessandro Boschieri, che ha inviato una segnalazione al ministero dei Beni culturali, Regione e Provincia. Nella lettera Boschieri denuncia la volontà della giunta di Montegrotto di «far transitare la tubatura sopra il muretto romano ricoprendo tutto di terra e asfalto». «I recenti ritrovamenti — ha spiegato — rappresentano la concreta opportunità per iniziare a progettare seriamente la riqualificazione, non solo del viale Stazione, ma di tutto il territorio per renderlo un'attrattiva turistica». Per Boschieri bisognerebbe quindi «ampliare l'area pedonale sul lato sinistro del viale rendendo visibili i manufatti con strutture in plexiglas debitamente illuminate».

La villa ritrovata a Castel di Guido che riscrive la storia dell´antica consolare

La villa ritrovata a Castel di Guido che riscrive la storia dell´antica consolare
LAURA LARCAN
SABATO, 06 AGOSTO 2011 LA REPUBBLICA - Roma

L´edificio

L´imponente struttura con terme, statue e monete scoperta tre settimane fa grazie a uno scavo Acea: fu frequentata almeno fino al VI secolo dopo Cristo

Quando una scoperta allunga la vita. Accade per la via Aurelia, considerata fino ad oggi caduta in disuso nel I secolo d. C., dopo un´attività da strada consolare lunga tre secoli per collegare Roma a Cerveteri e Genova. E invece la sua storia viene riscritta, grazie al ritrovamento, presso la tenuta di Castel di Guido, al X miglio, di una vasta struttura romana di grande suggestione per la complessità architettonica e gli apparati decorativi, che attesta un´insospettabile frequentazione dell´Aurelia fino al VI secolo.
Il rinvenimento è avvenuto tre settimane fa, durante la messa in sicurezza di uno scavo aperto dall´Acea per installare una condotta.

«Sono riemerse strutture mai immaginate», spiega Daniela Rossi, funzionaria della Soprintendenza ai beni archeologici di Roma che dirige i lavori condotti dagli archeologi della cooperativa Parsifal. Si tratta di un ampio sistema con almeno nove stanze, dove spicca una vasca profonda oltre un metro, con scalini e una banchina laterale. «Probabilmente è la parte termale di una grande villa - dice Rossi - che si caratterizza per la ricchezza degli arredi e la sontuosità delle suppellettili, poco documentate per l´Aurelia».

Basti pensare che l´ambiente termale ha restituito una statua di fanciulla a grandezza naturale, reclinata su un fianco, priva della testa, che però è stata ritrovata pochi giorni fa. Non solo: sono tornati alla luce una statua di Venere in frammenti, splendidi vasi di vetro integri, recipienti per unguenti e cibi, il piede fanciullesco di una scultura, un grazioso pesce di pietra chiara con l´occhio decorato da una stella, e 11 monete dell´età di Valentiniano trovate in un muro, forse un nascondiglio segreto del proprietario.

La "domus" testimonia varie fasi di vita. Un primo intervento è del II secolo, probabilmente legato alla presenza al XII miglio del Lorium, la residenza suburbana di Antonino Pio e Marc´Aurelio. A un momento di abbandono è seguito il recupero a scopo residenziale di lusso tra il IV e il V secolo, con tracce di interventi nel VI secolo, riconducibili alla spoliazione dei marmi. «L´importanza del sito - sottolinea Rossi - riguarda anche la particolarità del ritrovamento. La conservazione è il risultato dell´esondazione del rio Galeria, che proprio nel VI secolo, con le sue frequenti piene, ha sigillato la villa lasciandola intatta. Da archeologa, sono quasi grata ai fiumi».
Come tante storie dell´archeologia romana, il finale non è dei più felici. «I soldi per la prima campagna di indagine, circa 10mila euro, sono esauriti». Perciò lo scavo si è concluso ieri. «Per completarlo, consolidare le murature e la messa in sicurezza servirebbero almeno 50mila euro». Il tesoro dell´Aurelia ha fatto appena in tempo a riemergere che viene già riconsegnato alla terra.

giovedì 4 agosto 2011

La statua dell'imperatore romano fa scoprire un tesoro nascosto

La statua dell'imperatore romano fa scoprire un tesoro nascosto
di CARLO ANTINI
IL TEMPO 13/07/2011

La rivincita di Caligola

Archeologia. L'opera rubata è stata ritrovata dalla Finanza Gli scavi hanno riportato alla luce un ninfeo inesplorato

Caligola fa scoprire un tesoro dell'antichità. Un santuario, una grande villa, la residenza d'ozio con un ninfeo a forma di ventaglio, giochi d'acqua e al centro la statua dell'imperatore raffigurato come Zeus. Il comprensorio intorno al lago di Nemi era il regno dell'imperatore che si spostava da una riva all'altra con due navi gigantesche. È il quadro che riemerge dopo il recupero da parte della Guardia di Finanza di una statua monumentale trafugata, da cui gli archeologi sono partiti per compiere nuovi scavi e rilevamenti nell'area, trovando un nuovo sito e 250 reperti di straordinario interesse. «Una storia a lieto fine», ha detto il Comandante del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico Massimo Rossi, che, alla presenza del sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro, ha presentato il prezioso marmo greco seduto sul trono decorato, con in evidenza il particolare della calzatura, la caliga, usata così spesso da Gaio Cesare Germanico da valergli il soprannome di Caligola. Statua monumentale, ma ridotta in pezzi, per poterla trasportare con maggiore facilità. Prima dissotterrata dal sito sul lago di Nemi, poi nuovamente sepolta a Isola Sacra. I finanzieri che tenevano d'occhio strani e ingiustificati movimenti, hanno rinvenuto i reperti nei pressi di Ostia Antica, in un tir, «nascosti da calcinacci e destinati - ha spiegato Rossi - a essere stivati per una destinazione straniera, probabilmente la Svizzera». Una volta restaurata, la statua tornerà a Nemi, dove sarà conservata nel Museo delle navi romane. Il ritrovamento ha permesso di individuare il luogo che per due millenni aveva celato la statua, una proprietà privata sconosciuta agli archeologi, tra l'altro lontana sia dalla villa di Caligola sia dal Santuario di Nemi. Gli scavi hanno riportato alla luce un vasto ninfeo, ha detto Giuseppina Ghini della Soprintendenza dei Beni archeologici del Lazio, a forma di ventaglio, con giochi d'acqua e presumibilmente al centro la nicchia con la statua dell'imperatore. «L'unica che raffigura Caligola come Zeus - ha aggiunto la soprintendente dei Beni archeologici del Lazio Maria Sapelli Ragni - Ucciso a soli 29 anni, la damnatio memoriae che ne seguì portò alla distruzione della statuaria a lui relativa». Nel sito sono stati rinvenuti in totale 250 reperti, di cui un centinaio sono frammenti della statua monumentale, a partire dalla testa dove, ha sottolineato la Sapelli, sono riconoscibili i tratti caratteristici della gens Giulio Claudia. La parte inferiore del corpo comprende anche il bellissimo dettaglio del trono che da un lato lascia intravedere il cuscino dalle frange pesanti, mentre frontalmente la decorazione in formelle contenenti una Nike con vaso e una fanciulla fiore. Altri dettagli sono il ricco panneggio sulla spalla sinistra, lo scettro e forse il globo, che erano i classici attributi degli imperatori quando si facevano ritrarre nei panni di Zeus. Le indagini archeologiche stanno cercando di identificare anche il proprietario originario della dimora che ospitava il ninfeo, edificata forse in tarda epoca repubblicana. «Probabilmente di un Caio Iulio Siliano, nome che appare sopra una fistula», dice Giuseppina Ghini. La nave palazzo e la nave cerimoniale consentivano all'imperatore di spostarsi da una riva all'altra con la pompa adeguata. E nel ninfeo a ventaglio, invece di un fauno, troneggiava la sua raffigurazione in vesti divine. Una villa per gli ozi, dove il giovane e folle sovrano, che calzava i sandali degli esploratori, si svagava sul lago.