sabato 31 dicembre 2011

Trovata una villa di epoca romana

Trovata una villa di epoca romana
Michela Corridore
il Centro L'Aquila 02-SET-2005
L'AQUILA. Gli scavi compiuti nella zona intorno al Municipio di Villa Sant'Angelo hanno portato alla luce un prezioso tesoro archeologico. Il Comune d'intesa con la Soprintendenza per i beni archeologici d'Abruzzo a giugno aveva incaricato la cooperativa Vestea di procedere «all'esplorazione» dell'area.

Lo scavo ha portato alla luce importanti resti con datazione dal III secolo a.C. al IV d.C. Tra gli altri, una villa di età romano-imperiale che potrebbe aver dato origine al nome del Comune e una moneta d'argento della seconda guerra punica. Villa Sant'Angelo quindi ha origini romane e non medievali.
La storia dello scavo archeologico di Villa Sant'Angelo ha inizio circa 20 anni fa. Nel gennaio del 1986, infatti, nella zona della scuola elementare, furono rinvenute tre sepolture riferibili all'età imperiale romana. Da allora, tuttavia, la zona, seppur di grande interesse archeologico, non era stata più esplorata fino a quest'estate quando il sindaco del Comune, Pierluigi Biondi, ha deciso di finanziare, per un totale di circa lOmila euro, una nuova campagna di scavi. Le operazioni, condotte tra giugno ed agosto, sotto la supervisione dell'archeologo Vincenzo D'Ercole, hanno portato alla luce interessanti reperti con una datazione che copre l'arco di settecento anni: dal in secolo a.C. al IV d.C. In particolare, sono emersi i resti di una necropoli in uso tra il II e la metà del IV secolo d.C. e quelli di un edificio romano che sarebbe possibile identificare come una villa. L'edificio, di cui sono stati trovati alcuni muri, giace in gran parte nel sottosuolo compreso tra la strada e le abitazioni moderne e per questo non è stato possibile riportarlo alla luce nella sua interezza. Proprio all'esterno dell'antico edificio è stata rinvenuta parte di una necropoli: dieci tombe di epoca romana che conservano i resti sia di individui adulti che di bambini, in ottimo stato di conservazione. Interessanti anche i corredi delle tombe, composti da "pocula" (bicchieri in terracotta), lucerne e monete in bronzo, databili in un periodo compreso tra il 340 d.C. e il 380 d.C. «Grazie a questo tipo di reperti» spiega D'Ercole «possiamo affermare con certezza quale fu il periodo di utilizzo dell'area cimiteriale». Tuttavia, nella stessa zona, sono emersi anche reperti notevolmente più antichi. Si tratta di una moneta in argento di epoca repubblicana (211;208 a.C.) e di un imponente muro a grandi blocchi, identificato solo durante l'ultimo giorno di scavo, che farebbe pensare ad un edificio di culto in uso alla fine del III secolo a.C, durante la seconda guerra punica. «Questi resti ci fanno supporre che la zona intorno al Municipio di Villa Sant'Angelo sia stata utilizzata per un lungo periodo, almeno dal III secolo a.C. al IV d.C.» afferma D'Ercole «con questi scavi è stata completamente superata l'ipotesi, in voga fino a qualche anno fa, che Villa Sant'Angelo avesse origini medievali. Bisogna, per questo, ringraziare l'amministrazione comunale che ha avuto il coraggio di investire tempo e denaro nell'archeologia». Soddisfatto anche il sindaco Biondi, che afferma: «Appena sarà possibile, proseguiremo lo scavo e allestiremo, all'interno del Municipio una sala espositiva con i resti rinvenuti in questa operazione».

mercoledì 21 dicembre 2011

Il Tevere restituisce tesori e sabbia

Il Tevere restituisce tesori e sabbia
Giulio Mancini
Messaggero Cronaca di Roma 22/9/2005
Il Tevere tornerà ad essere il nastro trasportatore di sabbia che lungo tutta la sua storia ha allungato la foce nel Tirreno, spostando solo negli ultimi duemila anni il limite della terraferma di oltre due chilometri. Basterà riversare le centinaia di migliaia di metri cubi di rena accumulatasi a ridosso della diga di Corbara, vicino Orvieto.
E' la ricetta alla quale stanno lavorando l'Autorità di Bacino del Tevere e l'assessorato regionale all'Ambiente per combattere l'erosione che attanaglia la costa di Ostia, Fiumicino e Focene. Lo studio propedeutico è stato svolto durante l'estate a cura della facoltà di Ingegneria dell'università "La Sapienza" attraverso un nuovo strumento, l'ecoscandaglio multifascia "multibean", in uso per la prima volta in Italia. Si stanno rilevandole dinamiche di trasporto sul letto del fiume e i dati si confronteranno con una nuova campagna prevista per la primavera prossima.
Il modernissimo strumento ha anche consentito importanti scoperte in campo archeologico: reperti e strutture sono affiorate dai fondali e sono state "fotografate" dallo scandaglio. Tra queste il basamento del Ponte Sublicio, torri di difesa delle mure Aureliane e colonne affondate a Fiumicino.


Emerge dalle sabbie del Tevere la storia della Roma di duemila anni fa. Un "libro" sul passato, scritto con fasci di ultrasuoni e tecniche sofisticate che ci restituiscono ponti, torri difensive e traffici marittimi.
E' una città antica che trova conferme ma anche sorprese rispetto alle ipotesi degli archeologi quella che si sta rivelando dagli studi avviati dalle facoltà di Ingegneria e di Scienze dell'università La Sapienza. Grazie a una tecnologia sperimentata per la prima volta in Italia, gli esperti per conto dell'Autorità di Bacino Tevere e dell'assessorato regionale all'Ambiente hanno passato "al setaccio" i fondali degli ottanta chilometri terminali di fiume. Abbinando i metodi convenzionali di indagine geofisica (i sonar) al nuovissimo ecoscandaglio multifascia (detto multibean), sono affiorate interessanti scoperte archeologiche.
«In alcuni casi — spiega Pia Federica Chiocci, ricercatrice di Topografia antica presso la facoltà di Scienze umanistiche — le ricostruzioni hanno rivelato la presenza di manufatti che suggeriscono importanti novità nella ricostruzione dell'antica topografia di Roma. I dati sono ancora in fase di elaborazioni ma alcune indicazioni sono già chiare».
Innanzitutto quello che si sospetta possa essere il Ponte Sublicio, opera definita dagli esperti una delle mitiche fondazioni di Roma. «Immediatamente sotto l'Aventino, nei pressi dell'Istituto San Michele — segnala Chiocci — lo studio ha evidenziato la presenza di due piloni di un ponte che era ancora visibile alla fine dell'800. Si tratta con ogni probabilità dei resti del più antico ponte di Roma, il Pons Sublicius, fatto demolire alla fine del '400 da papa Sisto IV per ricavarne con il marmo palle di cannone».
Ma a offrire una rilettura curiosa della antica Roma è il ritrovamento di strutture immerse in due punti diversi del Tevere eppure tra loro connessi. «All'altezza di Testaccio - prosegue l'esperta di Toponomastica antica - nel punto in cui le mura Aureliane attraversavano il fiume, le immagini multibean evidenziano la presenza di una potente struttura in blocchi. Si tratta di cubi di sei metri per otto, alti diversi metri. E possono essere messi in relazione con le strutture rilevate più a nord, cento metri a monte di Ponte Sisto, e interpretate in passato come resti del Pons Agrippae. Anche in questo caso le strutture si ritrovano in connessione con il circuito murario nel punto in cui avveniva il passaggio da Trastevere a Campo Marzio. L'ipotesi è che quei blocchi immersi nel Tevere fossero dispositivi di difesa quali torri che dal 271 dopo Cristo, svettando nel centro del fiume, controllavano i punti in cui a nord e a sud la città restava sguarnita».
Lo studio con la nuova tecnica ultrasuoni oltre che confermare la presenza del Pons Neronianus al di sotto di ponte Vittorio Emanuele II, tuttora visibile anche nei periodi di magra, ha poi fatto scoprire reperti a dieci-quindici metri di profondità. «Si tratta di due aree a monte di Capo Due Rami, nei pressi di Fiumicino — svela l'esperta - Qui sono state rinvenute colonne e blocchi che dalle misure suggeriscono la loro antichità. Sono reperti che hanno misure multiple del piede romano. Dai sedimenti del fiume, infatti; emergono colonne lunghe 20 piedi (circa sei metri, ndr) dal diametro di due piedi e mezzo (circa 75 centimetri), colonne più larghe e blocchi quadrati di cinque piedi e mezzo (circa 165 centimetri)». Potrebbero essere lì per le conseguenze dell'affondamento di una nave.
Gli studi proseguono, in particolare sulle rilevazioni acquisite nel Tevere nei cinquanta chilometri a monte di Roma. «Da quella zona - anticipa Chiocci - ci aspettiamo indicazioni importanti su ponti dell'area di Veio, della Salaria, dell'Etruria: saranno determinanti per ricostruire nel dettaglio la rete di collegamenti extraurbani nell'antica Roma».

domenica 18 dicembre 2011

The Roman Roads



Le strade romane furono essenziali per la crescita dell 'Impero Romano, consentendo ai Romani di spostare eserciti e merci i e di comunicare le notizie. Al suo culmine, il sistema viario romano arrivava a 53819 miglia (85004 km) e conteneva circa 372 collegamenti.

I romani divennero abili a costruire strade, che chiamavano viae. Esse erano principalmente strade carrozzabili, destinate ai mezzi di trasporto di materiale da un luogo ad un altro. Queste strade erano molto importanti per mantenere sia la stabilità e l'espansione dell'impero. Le legioni si spostavano in tempo utile su di loro, e alcuni sono ancora in uso millenni dopo. Nella tarda antichità, queste strade hanno svolto un ruolo importante nella espansione militare romana per inverno hanno offerto vie di invasione di barbari.

LA GROMA



Descrizione della famosa GROMA romana e video di una delle sue applicazioni presso l'esercito Romano.

La Groma

La Groma

E' uno strumento di rilevazione per la misurazione della terra usato nell'antica Roma sia per la definizione dei confini, che per le comuni misurazioni agresti o per l'assegnazione delle terre che venivano assegnate ai soldati al congedo del loro servizio quale premio per il loro contributo militare.

trovate l'articolo completo su: http://www.artesolare.it/groma.htm

Cippo dal Limes Germanico


Cippo dal Limes Germanico.

Roman Building: Materials and Techniques

Roman Building: Materials and Techniques

Jean-Pierr Adam

L'architettura romana è straordinariamente ricca, sia in termini di tecniche e materiali impiegati e nella varietà di edifici costruiti, molti dei quali sono ancora visibili oggi.
Il libro pone l'accento sugli aspetti tecnici di tale architettura, a seguito del processo di costruzione attraverso ogni fase, dalla cava al muro eretto, dal legno dell' al tetto. L'autore prende in esame le diverse tecniche coinvolte nella costruzione in mattoni e in pietra e legno, e di come questi materiali sono stati ottenuti o fabbricati. Si discute anche dell'arredamento e rivolge agli aspetti pratici di approvvigionamento idrico, di riscaldamento e strade. Ogni tipo di edifici necessita di utensili speciali e questi sono descritti, utilizzando entrambi gli esempi sopravvissuti e paralleli con quelli moderni.
I Romani costruirono molte imprese spettacolari di ingegneria, produzione di magnifici monumenti come il Pantheon e Pont du Gard. Questo libro esamina questi edifici pubblici di grandi dimensioni ma anche nelle case più modeste e negozi. Il risultato è un esame approfondito e sistematico di edificio romano, con oltre 750 illustrazioni, inclusi i disegni dello stesso autore. Gli edifici romani contiene una prefazione del professor Michael Fulford.

martedì 13 dicembre 2011

Lago di Nemi e sito del Tempio di Diana


Lago di Nemi e sito del Tempio di Diana - A- Tempio di Diana - B villaggio di Nemi e Castello degli Orsini

domenica 11 dicembre 2011

La Villa Adriana et les ordures romaines

La Villa Adriana et les ordures romaines
Philippe Ridet
Le Monde 3/11/20111

Son nom rappelle quelque chose. Et pour cause, il descend en ligne quasi directe d'Urbain VIII qui régna sur l'Eglise catholique de 1623 à 1644. Il appartient à une des familles les plus titrées d'Italie. Des places, des fontaines, des palais, portent son nom. Son patronyme (en entier) est une leçon d'histoire et d'alliances : Urbano Riario Sforza Barberini Colonna di Sciarra. Il est prince. Il est aussi acteur de théâtre et de cinéma. Et il est très en colère. Depuis que la région du Lazio a décidé la fermeture, fin décembre 2010, de la décharge d'ordures de Malagrotta, la plus grande d'Europe, où se déversent tous les déchets non recyclables de la capitale italienne (et du Vatican), le prince Barberini, âgé de 50 ans, est en guerre. Avec sa collègue, l'actrice et animatrice de télévision, Franca Valeri, de 41 ans son ainée, il s'oppose à l'ouverture d'un nouveau site d'enfouissement de 180 hectares à trois kilomètres de la limite du site archéologique de la Villa Adriana à Tivoli. Un préfet nommé par le gouvernement en a décidé ainsi, il y a quelques semaines et la présidente de la région, Renata Polverini, ne l'a pas découragé. Ensemble, le prince acteur et son amie ont pétitionné, écrit au maire de Rome, aux ministres de la culture, de l'écologie et de l'agriculture, au président de la République, acheté une page dans les cinq plus grands quotidiens italiens pour dénoncer ce choix. Pour l'instant, en vain. Un syndicat d'agriculteurs s'est joint à leur cause ainsi que tout ce que la région compte d'hôteliers et de loueurs de chambres d'hôtes. Un recours au tribunal administratif est dépose. «C'est comme si l'Egypte enfouissait ses déchets au pied des pyramides », explique Urbano Barberini, visiblement ravi de sa formule. « C'est pire qu'un crime, c'est une faute », reprend un de ses amis citant Joseph Fouché après l'assassinat du duc d'Enghien. Construite entre 118 et 138, par l'empereur Hadrien, la Villa Adriana est probablement un des sites antiques les plus poétiques qui se puisse voir. Nichée dans les collines de la campagne romaine, elle manifeste d'un art de vivre et d'une culture dont Marguerite Yourcenar a rendu compte dans ses Mémoires d'Hadrien (1951). Qu'un effluve de poubelle vienne les survoler et c'est toute la magie du lieu qui s'en trouverait ruiné. «Au point de vue archéologique, insiste le prince, la Villa Adriana est le centre de l’Empire romain. »
Quand les ruches trembleront
Mais Urbano Barberini a une autre raison de s'opposer au projet. Il possède dans les parages une propriété sur laquelle il produit notamment un oriel réputé. Que deviendront ses abeilles (présentes sur le blason de la famille Barberini) quand les ruches trembleront au passage quotidien de centaines de bennes à ordures Le prince ne souhaite pas faire de son combat la caricature de l'héritier noble et titre qui ne voudrait pas voir son coin de paradis envahi par les déchets de la plèbe. «Pas la peine d'insister sur mes titres », recommande-t-il. Il reste quelques semaines à «l'indigné» de Tivoli pour déjouer le projet de la région.

mercoledì 7 dicembre 2011

vaso raffigurante un matrimonio ritrovato a Pompei


vaso raffigurante un matrimonio ritrovato a Pompei.

Non tutti i barbari vengono per nuocere

La Stampa 4.12.11
Domani a Palazzo Ducale di Genova
Non tutti i barbari vengono per nuocere
L’iconografia dell’invasore nasce nell’800. In realtà fuori dall’impero si desiderava condividere il benessere di Roma, non distruggerlo
Alessandro Barbero

Domani sera, a Palazzo Ducale di Genova, si apre la rassegna di lezioni di storia «Noi e gli antichi», organizzata dal Comune di Genova in tandem con la Fondazione Edoardo Garrone e la Casa Editrice Laterza. Il primo incontro è con lo storico Alessandro Barbero (nella foto) che terrà una relazione dal titolo Chi sono i barbari? di cui anticipiamo un estratto. I prossimi appuntamenti sono il 12 dicembre con Andrea Carandini (parlerà di Vergine madre ), il 19 dicembre sarà la volta di Eva Cantarella che affronterà il tema Uccidere il padre. Si riprende l’anno prossimo, il 9 gennaio, con Andrea Giardina che spiegherà L’invenzione di Roma. Il 16 gennaio Giovanni Filoramo illustrerà La religione da Giove a Cristo, il 23 gennaio Massimo Montanari si chiederà Quanto è antica la cucina mediterranea? Il Sacco di Roma come fu visto dal pittore Joseph-Noël Sylvestre nel 1890
Le invasioni barbariche sono fra i temi preferiti della pittura pompier dell’Ottocento. L’iconografia prevede poche varianti fondamentali: torme di barbari urlanti, coperti di ferine pellicce, galoppano fra i templi e i monumenti, impugnando le fiaccole con cui tra poco ridurranno in cenere la civiltà. In alternativa il capo barbaro, un ghigno soddisfatto che spunta tra i baffoni incolti, spalanca la porta dell’harem del palazzo imperiale, dove lo attendono schiave e concubine tremanti. I barbari, era una certezza, avevano distrutto Roma perché odiavano la civiltà, e quindi l’avevano fatto apposta: nel 1890 Joseph-Noël Sylvestre rappresentò il sacco di Roma da parte dei Goti, nel 410, immaginando barbari nudi intenti ad annodare una corda intorno al collo d’una statua, per poi trascinarla rovinosamente a terra. Si possono immaginare i brividi del colto pubblico della Belle Époque, che non temeva più invasioni di barbari, giacché in ogni angolo del mondo gli indigeni eran comandati a bacchetta dall’uomo bianco, ma i barbari cominciava a temere di averli in casa: scioperanti, anarchici, comunisti, tutti nemici, comunque, del benessere e della civiltà.
Oggi, in verità, sappiamo che i barbari non volevano affatto distruggere la civiltà antica. Perché mai, altrimenti, avrebbero avuto così tanta voglia di venire a vivere nell’impero romano? Anche loro volevano abitare nei palazzi, assistere ai giochi del circo, aver l’acqua in casa grazie agli acquedotti, trovare al mercato tutte le merci del mondo. I loro antenati c’erano riusciti attraverso duri sacrifici, venendo a lavorare nell’impero da umili immigrati; molti avevano avuto successo, erano diventati ufficiali dell’esercito, e i loro figli erano saliti in quella società aperta e multietnica fino a diventare generali e ministri. Dalla fine del IV secolo, però, il meccanismo s’incrinò. Certi errori del governo imperiale nel gestire i flussi di immigrazione fecero sì che il problema sfuggisse di mano, e che i barbari, sempre più numerosi, venissero a stabilirsi nell’impero senza obbedire alle regole, anzi pretendendo di comandare: è questo l’inizio delle invasioni barbariche.
L’ironia della storia sta nel fatto che quando i barbari si furono trasferiti in massa, e da padroni, sul suolo romano, tutte le meravigliose infrastrutture che li avevano attirati cominciarono a funzionare sempre peggio, e alla lunga andarono fuori uso. Ci volle molto più tempo di quello che c’immaginiamo, perché, ripetiamolo, non lo fecero apposta: per secoli i re barbari continuarono a organizzare i giochi del circo, a pagare gli ingegneri che facevano funzionare gli acquedotti, a spendere per la manutenzione delle strade, mentre capi e capetti s’installavano nelle lussuose ville di campagna, dotate di terme e mosaici. Ma di soldi ce n’erano sempre meno, adesso che l’onnipotente governo centrale dell’impero era stato sostituito da tanti piccoli re; i mercanti dell’Oriente non si spingevano più volentieri in luoghi diventati pericolosi; il knowhow si perdeva, la qualità dei tecnici peggiorava, le riparazioni non riuscivano, il denaro circolava di meno e la gente preferiva seppellirlo sotto terra, i mercati si svuotavano, le scuole chiudevano, e benché nessuno l’avesse voluto la prosperità antica divenne solo un ricordo.
Bisognerà dunque rinunciare ai barbari urlanti e alle loro fiaccole, o meglio limitare l’immagine a casi specifici ed enormi, come la distruzione di Aquileia da parte degli Unni di Attila. E dovremmo esserne contenti, perché quegli Unni si sono poi perduti nelle pieghe della storia e di loro non si è più saputo niente, mentre da quei Goti, Franchi, Longobardi che invasero l’impero discendiamo, almeno un po', noi Europei dell’Occidente. Sarà per questo che il dipinto di Jean-Noël Sylvestre, a vederlo oggi, fa un’impressione così curiosa? I barbari intenti alla loro impresa iconoclasta non ci suscitano più quella ripugnanza che dovevano suscitare un secolo fa; anzi, ci sembrano curiosamente familiari. Pare quasi di averla già vista, quella scena; di averla vista coi nostri occhi, e non in un museo, ma dal vero o quasi, su uno schermo televisivo; e di essere stati addirittura d’accordo. Ed è proprio così: basta riandare con la memoria all’entrata delle truppe americane a Baghdad, nell’aprile 2003, quando i soldati si arrampicarono sulla statua colossale di Saddam Hussein in piazza Firdaus, la legarono con una corda e poi la tirarono giù.
La scena è la stessa, salvo il fatto che i barbari di Sylvestre sono nudi, mentre nella realtà sarebbero stati coperti da robuste armature, proprio come gli americani a Baghdad. L’altra differenza è che nel quadro pompier i barbari sono soli in una Roma spettrale, da cui gli abitanti sono scomparsi; mentre nelle riprese televisive una folla di iracheni assiste all’impresa, quasi a garantirne la legittimità democratica. Ma è poi davvero una folla? In certe scene sembra che sia proprio così; ma gli esperti, che le hanno studiate, garantiscono che c’era al massimo un centinaio di persone, abilmente riprese in modo da farle sembrare molte di più: «La messa in scena fotografica più plateale dopo Iwo-Jima». La differenza fra civiltà e barbarie, a quanto pare, è soprattutto questione di uffici-stampa.

martedì 6 dicembre 2011

Nave e moli, a Ostia spunta l'antico porto

Nave e moli, a Ostia spunta l'antico porto
Giulio Mancini
il messaggero - Roma 5/11/2011

Gli archeologi: «Opera mastodontica di grande valore»
LA SCOPERTA Poderosa struttura del II secolo d.C. affiora nel cantiere del nuovo ponte della Scafa

Mastodontico non solo nelle sue dimensioni ma anche per quello che rappresenta: il porto di Ostia affiora dalle sabbie di un terreno agricolo davanti a Tor Boacciana, a ridosso della foce del Tevere. Dopo il ritrovamento dei resti di due navi imperiali, i saggi archeologici perla realizzazione del nuovo ponte della Scafa, tra Ostia e Fiumicino, rivelano un'altra grande scoperta: il porto dell'antica cittadina fondata da Anco Marzio. Gli esperti della Soprintendenza intorno alle rovine di quel molo ci stavano lavorando dalla primavera scorsa, fiduciosi di trovarsi di fronte ad una sensazionale rivelazione: la localizzazione di quello che era un approdo descritto solo vagamente dalle fonti storiche. Adesso c'è la certezza. «Siamo di fronte ad evento di considerevole valore, che va ulteriormente approfondito e indagato — dichiara Angelo Pellegrino, direttore degli Scavi di Ostia e del cantiere di via Tancredi Chiaraluce - Il molo, risalente al secondo-terzo secolo dopo Cristo, ha dimensioni ragguardevoli a dimostrazione che si trattava di una struttura imponente, fronteggiava il mare e molto probabilmente è stato attivo sino al quarto secolo dopo Cristo quando ha subito un crollo». L'area di scavo comprende una superficie di circa 500 metri quadrati di reperti archeologici. Il molo, realizzato in pozzolana, calce idraulica e materiale lapideo, è largo 5 metri circa e nel cantiere è emerso per circa trenta metri di frontemare. Il basamento presenta delle fessure usate all'epoca per smorzare la forza d'urto del mare. Non è chiaro se dietro al molo scorresse un canale, magari sormontato da tavole di legno. Un paio di travi sono state trovate nell'interrato, proprio nel fossato, a ridosso dell'approdo. Al centro dello scavo è stata individuata una struttura muraria dal piede ampio, affiancata da un arco in mattoni evidentemente crollato. «Non sappiamo spiegare ancora con precisione di cosa si tratti — aggiunge Michele Raddi, archeologo coordinatore - Potrebbe essere la base di un faro: ne conosciamo la presenza alla foce del fiume e si è sempre ritenuto che quei resti farebbero parte delle fondamenta di Tor Boacciana. Quelle fonti, ora, potrebbero essere smentite. Ma solo per un'imprecisione di una cinquantina di metri». In quanto al crollo, Pellegrino ha una sua ipotesi. «Le tecniche murarie ci autorizzano a pensare che quella struttura possa essere stata vittima del terremoto a Roma che San Girolamo racconta sia avvenuto tra il 370 e il 380 dopo Cristo» sostiene il direttore degli Scavi. Nel cantiere lavora anche un'esperta di biodeterioramento dei Beni culturali, la professoressa Marilena Leis dell'università di Ferrara. «Per la prima volta al mondo, qui abbiamo rinvenuto mitili e ostriche ancora aderenti alle strutture murarie: ne faremo uno studio per valutare il paleoambiente» dice. A cosa poteva servire un approdo a Ostia se ad appena tre chilometri di distanza sorgevano il porto di Claudio prima e quello di Traiano dopo? «Le fonti storiche - risponde Marco Sangiorgio, esperto topografo - riferiscono di un porto fluviale ad Ostia dove si procedeva allo scarico delle merci dalle grosse imbarcazioni a quelle più piccole che sarebbero risalite lungo il Tevere». E, a proposito di barche, è della settimana scorsa il ritrovamento di una seconda nave imperiale a ridosso di quella rinvenuta a marzo. Si trova nelle argille della sponda opposta del fiume, all'Isola Sacra, e misura 14 metri contro i 12 della barca venuta alla luce per prima. In tutto questo di-svelamento storico e archeologico, si fa sempre più a rischio la realizzazione del Ponte della Scafa. Il porto di Ostia si trova nel cuore della viabilità di collegamento con l'infrastruttura. Il nuovo viadotto, appaltato al costo di 25,5 milioni di euro, sarà costituito da un arco metallico, lungo 285 metri, larga 20 metri, con due corsie per ogni senso di marcia, ed alto 18 metri sul Tevere. L'impegno degli amministratori era di aprire il cantiere entro il prossimo dicembre ma tutto potrebbe cambiare, inclusa la localizzazione.

domenica 4 dicembre 2011

Porto di Ostia. Un importante nodo di scambio

Porto di Ostia. Un importante nodo di scambio
Sergio Rinaldi Tufi
il messaggero - Roma 5/11/2011

Questo cantiere è davvero una miniera. Quando nella scorsa primavera si era trovato il relitto della nave della prima età imperiale, si era anche detto: non finisce qui. Non è finita lì: lo scafo di quella nave (Isola Sacra 1) è stato studiato e classificato; ed è ancora da investigare un'altra imbarcazione certamente molto grande. Inoltre, emergono resti di strutture portuali. La nave era costruita con un sistema di incasso delle assi di legno detto «a tenoni e mortase», senza usi di chiodi metallici. La chiglia era piatta, come la prua. Un tipo di imbarcazione detto horeia — di cui sono noti pochi esemplari — adatto a una navigazione fluvio-marittima: forse in qualche modo partecipava alle febbrili attività quotidiane (illustrate a Ostia nei mosaici del Pia77ale delle Corporazioni: vendita di grano, cataste di anfore): le merci erano scaricate dalle navi più grandi provenienti da tutto il Mediterraneo e sistemate in navi più agili che risalivano il fiume verso Roma. Ma le strutture portuali (un molo? un faro?) sono ancora più importanti. Qui passava in antico la linea di costa: si sa che Ostia, da quando fu fondata (secondo la 1eggenda) dal quarto re di Roma Anco Marzio, divenne un punto di riferimento sempre più importante. Ma mancarono a lungo approdi adeguati per le grandi navi che portavano grano dall'Egitto, e tante altre merci per i consumi di Roma: facevano scalo a Pozzuoli, fino a quando prima Claudio (42 d.C.) e poi Traiano (110-112) non ostruirono i loro grandi bacini. Accanto a quello di Traiano cresce Portus, nuova città che si aggiunge a Ostia stessa, e che proprio nell'Isola Sacra sviluppa la sua importante necropoli. Come si inserisce in questa storia la nuova scoperta? Emerge un «terzo porto» finora poco noto e sottovalutato? Fra l'altro, rispetto al Porto di Traiano siamo (sia pur di poco) più vicini a Ostia pulsante di vita: foro, templi, teatro, terme, case, thennopolia o bar, cauponae o osterie. Ne sapremo di più con la prosecuzione dei lavori: anche stavolta, non finisce qui...

sabato 3 dicembre 2011

Roma antica, che passione l´avventura di un archeologo

Roma antica, che passione l´avventura di un archeologo
LUNEDÌ, 07 NOVEMBRE 2011 LA REPUBBLICA - Roma

Coarelli si cimenta in un´opera che offre una visione d´insieme di diversi decenni di studi In questo primo volume, riccamente illustrato, si va dalle origini al III secolo avanti Cristo

PER FILIPPO COARELLI L´ANTICA ROMA - specie quella delle origini - è da sempre il pane quotidiano. Non solo per questione professionale, ma per vera, autentica passione. Non solo perché illustre professore e archeologo di fama, ma perché sentimenti e insegnamenti ricevuti dal maestro Ranuccio Bianchi Bandinelli si sono radicati nel suo Dna e gli alimentano costantemente cuore e cervello. Perciò, Filippo Coarelli si è cimentato nell´affascinante avventura di un´opera - unica nel suo genere - che raccolga in una visione complessiva l´intenso lavoro di ricerca archeologica e storica svolto negli ultimi decenni da studiosi di diversi Paesi.
Ha detto Coarelli in un´intervista: «Molti archeologi dicono che la vecchia archeologia che è storia dell´arte è morta. Morta perché? Prima si cercavano le statue e si buttavano via i cocci, adesso cosa facciamo, teniamo i cocci e buttiamo via le statue? È un falso problema: dipende da cosa ci interessa. Se oggi ci interessano di più i problemi sociali, i problemi economici, che ovviamente non si possono quasi mai risolvere tramite i testi letterari o gli studi storico-artistici, l´archeologia di scavo diventa fondamentale, perché non esistono manuali di economia antica, e quindi i dati storico-economici e sociali li devo indagare con l´archeologia».
In questo primo volume, riccamente illustrato, si va dalle origini al III secolo avanti Cristo. Dalla Roma dei re (con influenze etrusche e greche) fino alla nascita di una cultura artistica riconoscibile come "romana".

venerdì 2 dicembre 2011

L'antica villa romana che ha bloccato i nuovi capannoni

L'antica villa romana che ha bloccato i nuovi capannoni
Antonio Passanese
Corriere Fiorentino 11/11/2011

Alt ai lavori nell'area industriale Mezzana-Perfetti Ricasoli
La soprintendenza: «Una bella scoperta»
Dopo duemila anni. Ritrovato il perimetro, in ottimo stato. Diventerà «sito archeologico»

SESTO — La terra l'ha custodita per duemila anni e i saggi preliminari del terreno l'hanno riportata alla luce in tutta la sua maestosità un paio di mesi fa. La scoperta di una villa rustica romana di età imperiale ha bloccato i lavori dei nuovi capannoni industriali, privati, in costruzione a Volpaia, e ha convinto la soprintendenza ai Beni archeologici della Toscana a porre l'intera area sotto vincolo e ad avviare l'iter per la «dichiarazione di importante sito archeologico». Il perimetro, riemerso in uno stato di conservazione ottimale, è ora sotto la lente d'ingrandimento degli studiosi fiorentini. Si tratta di strutture di fondazione, realizzate con pietre di piccola pezzatura, unite a secco a dividere alcuni ambienti — presumibilmente stalle o ripostigli — dalla residenza dei proprietari della fattoria. E non è escluso che la villa fosse dotata anche di una macina e di un frantoio, come testimonierebbe una base rettangolare rinvenuta in quella che potrebbe essere considerata una dependance. L'alzato doveva essere in materiale deperibile, pertanto molto difficile da conservare, soprattutto in un'area come quella di Sesto, a causa delle falde acquifere che ne caratterizzano il suolo. «Una bella scoperta, oltretutto ancora inedita — sottolinea soddisfatta la soprintendente Mariarosaria Barbera —Ci sono i presupposti affinché questo ritrovamento sia valorizzato e portato a conoscenza di tutti». Una zona, quella della Piana Fiorentina, ricca di reperti e di storia, che affonda le sue radici nell'Età del rame, tra il 2000 e il 1000 prima della nascita di Cristo e, con ogni probabilità, ancora più indietro nel tempo. L'economia della villa rustica era fondata sulla suddivisione del territorio in latifondi, e frazionata anche in appezzamenti più piccoli, non tutti a destinazione agricola, ma probabilmente adibiti alla coltivazione della canapa, nonché a terreni dedicati al pascolo del bestiame, a laghetti per la pesca e a cave di argilla per la produzione ceramica e laterizia. Duemila anni fa Volpaia era aperta campagna ed è possibile che questa fertile valle fosse intensamente popolata. Nel territorio di Sesto, fa sapere la Soprintendenza, è prassi abituale effettuare indagini archeologiche preliminari a lavori che prevedono modifiche sostanziali. «Dagli anni 80 — afferma Gabriella Poggesi, responsabile degli scavi di Volpaia — applichiamo un controllo capillare, in linea con le indicazioni della legge sull'archeologia preventiva varata dal ministero lo scorso anno». Anche nel caso della costruzione del nuovo asse stradale Mezzana-Perfetti Ricasoli, a due passi dai capannoni e dai reperti, sono stati eseguiti saggi stratigrafici lungo tutto il percorso realizzato, in collaborazione e con il sostegno economico della Provincia, responsabile dell'opera pubblica. Per quanto riguarda la villa rustica riaffiorata a Volpaia, gli archeologi stanno realizzando un intervento completo di conservazione, restauro e messa in sicurezza. «Questo — aggiunge Poggesi — consentirà di conservare le strutture e nello stesso tempo di portare avanti l'opera pubblica (la Mezzana-Perfetti Ricasoli, ndr) in progetto». La Provincia si addosserà l'onere di realizzare un'adeguata pubblicazione sul complesso: «Sui reperti abbiamo già iniziato lo studio e presto sarà disponibile un'adeguata diffusione di quanto portato alla luce, mediante pannelli e supporti multimediali».

giovedì 1 dicembre 2011

Roman Berytus: Beirut in Late Antiquity

Roman Berytus: Beirut in Late Antiquity
Linda Jones Hall

Beirut era una città di notevole importanza nel mondo romano, uno dei centri principali per lo studio del diritto romano. Per questo studio Linda Jones Hall sfrutta le numerose fonti, tra cui iscrizioni, storie religiose, riferimenti letterari, codici legali, e reperti archeologici, di presentare una storia composita di Berytus tardo antica - dalla sua fondazione come colonia romana al tempo di Augusto, al suo sviluppo in un centro di studi legali sotto Giustiniano.
Il libro prende in esame tutti gli aspetti della vita in città, tra cui posizione geografica, base economica, l'ambiente costruito, le strutture politiche, religiose transizioni dal paganesimo al cristianesimo, e l'auto-identità degli abitanti in termini di appartenenza etnica e professione. Il testo completo di numerosi racconti sono presentati a rivelare le aspirazioni degli studenti di legge, i professori, e dei loro concittadini, come gli artigiani. Lo studio analizza anche le implicazioni culturali della città greca, romana e poi siro-Phoencianheritage.
Questo volume fornisce la prima indagine dettagliata del tardo antica Fenicia, analizzando i governatori e gli abitanti e la percezione di se stessi come fenici, piuttosto che siriani.

«Un'isola intorno al Colosseo e la Domus Aurea riaperta nel 2020»

«Un'isola intorno al Colosseo e la Domus Aurea riaperta nel 2020»
Il tempo - Roma 12/11/2011

Il sottosegretario ai Beni culturali Giro immagina una cancellata con ingresso all'anfiteatro da via di San Gregorio
25 milioni «Oltre quelli preventivati dalla Tod's ne arriveranno altri due-tre dello Stato» 3 mila. Il numero delle lesioni del monumento monitorate con fibre ottiche

Partirà nella primavera 2012 il cantiere per il restauro del Colosseo. Lo annuncia il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Maria Giro, facendo il punto sulla situazione dell'area archeologica romana. «Abbiamo ricevuto da parte di ditte interessate oltre quaranta domande per ognuno dei due filoni dei lavori per il Colosseo - spiega-. La creazione di un centro servizi esterno, con biglietterie, toilette e bookshop e il restauro del prospetto nord-sud che per noi ha la priorità. Si devono prendere delle decisioni, valutare i progetti e poi partirà il cantiere». Il sottosegretario precisa che al costo preventivato del restauro, 25 milioni di euro finanziati dalla Tod's di Diego Della Valle (una sponsorizzazione contro cui il Codacons ha fatto ricorso al Tar) «si aggiungeranno probabilmente altri due-tre milioni di euro, spese che coprirà lo Stato. Con il restauro ci sarà un lavoro soprattutto di ripulitura, ma anche di consolidamento e impiantistica». Il Colosseo, fa notare Giro, «ha3mila lesioni», uno «stato fessurativo abbastanza diffuso ma non allarmante, su cui stiamo monitorando con le fibre ottiche applicate in quattro dorsali e su cui si interverrà durante il restauro». Una parte degli interventi, dal completamento dell' area Stern, ai lavori alle volte ambulacrali interne, dai collegamenti al percorso dell'arena al consolidamento del terzo anello, sono stati in buona parte già eseguiti con una spesa di circa 2-3 milioni di euro, dice Giro, anticipando notizie contenute nel terzo rapporto del commissario Roberto Cecchi sulle attività svolte nelle aree archeologiche di Roma e Ostia che si presenterà a dicembre. In vista delle possibili Olimpiadi del 2020, aggiunge poi Giro, si potrebbe pensare a realizzare«un'isola del Colosseo, circondando l'area con una cancellata per preservarla e immaginando un grande ingresso dalla parte di Via di San Gregorio. Anche la presenza degli ambulanti, verrebbe regolata e resa più compatibile con la bellezza del luogo». Per quella data, annuncia, si spera di poter riaprire anche la Domus Aurea. Il sottosegretario spiega che nell'area archeologica sono stati «realizzati circa 100 progetti per un totale di 35 milioni di euro», «se parlassimo in termini di febbre - scherza - potremmo dire che l'area archeologica romana ha due linee sopra il 37, insomma, sta benino».

mercoledì 30 novembre 2011

Ritrovati al Pantheon Matidia e gli Argonauti

Ritrovati al Pantheon Matidia e gli Argonauti
Paolo Brogi
Corriere della Sera, 13/9/2005
Scoperti intorno al Pantheon il Tempio di Matidia e il Porticato degli Argonauti. Grazie ai lavori intrapresi dal Senato riemergono importanti resti archeologici: la basilica che Adriano dedicò alla suocera Matidia rinvenuta a piazza Capranica, sotto il complesso di Santa Maria in Aquiro, e il Porticato degli Argonauti, nei Saepta Iulia di piazza della Minerva.

I tesori celati dai sampietrini del Campo Marzio centrale
L'area del Campo Marzio centrale compresa tra piazza Navona ad ovest, via del Corso ad est, via dei Coronari e via delle Coppelle a nord, Corso Vittorio a sud era il cuore della IX regione augustea. L'intensa urbanizzazione dell'area nel periodo augusteo ad opera di Agrippa registrò interventi successivi degli imperatori Domiziano e Adriano e sotto i Severi. I Saepta Iulia che risalivano al VI secolo a.C. furono ristrutturati prima da Agrippa e poi da Adriano. Accanto al Pantheon, costruito nel 27 a.C, sorgeva la più grande insula romana, a sud la Basilica Neptuni. Ancor più a sud Agrippa aveva costruito le più antiche terme romane a carattere pubblico. Lì c'era anche uno stagno, poi ricoperto da lastricati. Poco più a sud del Tempio di Matidia, a partire da piazza San Macuto, c'era infine il più importante santuario del culto egizio a Roma.
Un tempio dedicato alla suocera, davvero un «unicum». È il tempio di Matidia, voluto dall'imperatore Adriano. Una specie di curioso fantasma archeologico. Sorgeva non lontano dal tempio di Adriano, quello eretto dal suo successore Antonino Pio e di cui si possono ammirare ancor oggi le bellissime undici colonne corinzie a Piazza di Pietra. Finora la basilica di Matidia e di Marciana, quest'ultima madre della suocera d'Adriano, era nota soltanto per una fistula plumbea rinvenuta tra la Chiesa di S.Ignazio e il Pantheon e per un medaglione del 120 d.C. con un tempio e due corpi di fabbrica laterali porticati.
E ora invece sta riemergendo a piazza Capranica, non lontano da altri importanti ritrovamenti in piazza della Minerva. E per tutta l'area si avvicina l'ipotesi di un nuovo percorso archeologico che gravita intorno al Pantheon, il tempio per eccellenza costruito nel 27 a.C. Il «tempio della suocera» è sempre stato lì, a cinque metri di profondità in piazza Capranica, messo di traverso rispetto alla piazza e col corpo che va in direzione di piazza San Macuto. A restituircelo oggi sono i lavori in corso nel complesso di Santa Maria in Aquiro, grande proprietà dell'Ipab che sorge tra le vie in Aquiro, della Guglia, dei Pastini, della Spada d'Orlando e piazza Capranica. I lavori in corso sono per conto del Senato, che vi sta allestendo studi e servizi per i senatori con un nuovo ingresso previsto su via in Aquiro.
«Nei piani cantinati del pianterreno sotto il pavimento sono venuti fuori i gradini del tempio e sei colonne, probabilmente la parte frontale del tempio - spiega Rosalba Quinto della sovrintendenza archeologica di Roma -. Le colonne sono state tagliate nella parte apicale, un intervento effettuato nel Rinascimento per costruire il piano del convento. Scendono giù per parecchi metri, almeno cinque. Una colonna invece è conservata in tutta la sua altezza, perché è stata inglobata nel muro laterale dell'edificio ed è visibile dall'interno».
Al tempio di Matidia appartenevano forse le cinque colonne in marmo cipollino rinvenute nel secolo scorso presso piazza Capranica. L'identificazione del tempio è garantita ora da altre risultanze emerse nella zona, durante piccoli lavori urbanistici che tra il '700 e l'800 aveva messo in luce un pezzo di muro e un altro pezzo di colonna. «Stiamo procedendo cautamente tenendo conto dei problemi di stabilità dell'edificio - aggiunge l'archeologa -. Vogliamo naturalmente mettere in luce tutto il possibile e se verrà confermata definitivamente l'ipotesi sul complesso ne chiederemo anche la valorizzazione».
Il ritrovamento rilancia anche i tesori che sono nascosti sotto piazza della Minerva, scoperti durante i lavori per ristrutturare la biblioteca del Senato. Al momento vi si accede attraverso una botola che si apre sui piazza della Minerva. Una volta scesi giù, a una profondità di cinque metri, ecco emergere un'area larga cinque metri e lunga un centinaio indirizzata verso via dei Cestari. È il porticato degli Argonauti, appartiene ai Portici delle Saepta Iulia, quel grande rettangolo di duecento metri di lunghezza e 90 di larghezza con relativi porticati che dopo essere stato in epoca repubblicana il posto in cui votavano i romani in epoca imperiale era stato poi trasformato in un museo di rarità. «Abbiamo ritrovato tre basi di colonna, tre gradini e una colonna intatta di travertino alta tre metri e mezzo, fanno parte del quadriportico - spiega l'archeologo della sovrintendenza Claudio Moccheggiani -. Il Senato vuole valorizzare queste scoperte. Ma l'ideale sarebbe di continuare a scavare, in direzione di Largo Argentina, sotto via dei Cestari. Abbiamo la certezza della prosecuzione nella piazza...».

martedì 29 novembre 2011

BARBARIANS AGAINST ROME Rome's Celtic, Germanic, Spanish and Gallic Enemies

BARBARIANS AGAINST ROME Rome's Celtic, Germanic, Spanish and Gallic Enemies

Peter Wilcox, Rafael Treviño

Questo volume è composto da tre capitoli: uno sui germani e Daci, una sul gallici e celti britannici e uno dedicato alla Spagna. Il periodo di riferimento varia da capitolo a capitolo, il primo copre il periodo più grande, da circa 400 aC al 476 dC, il secondo fuoco di 115 aC al 84 dC e le offerte scorso con 218 al 133 aC.

Il primo capitolo, sui germani e Daci, è probabilmente il meno informativo. Anche se ci sono un sacco di illustrazioni di armi, elmi e scudi, ci è prezioso poche informazioni sulle Campagne.

Il secondo capitolo, sui Celti e Galli, particolare fornisce una migliore informazione sulla struttura delle loro società, così come numerose informazioni sulle armi e le attrezzature. Le guerre del 115-102 aC cimbra sono ben descritte.

Nel terzo capitolo l'autore non solo fornisce informazioni sulle armi standard e attrezzature, esaminando l'impatto delle guerre ispano su Roma. Da un lato, la Spagna aveva abbondanti risorse per Roma; solo nel 200 aC, i Romani ottenuto più di 2,400 libre di oro e argento in 44,000 libre. D'altra parte, la i guerriglia in stile resistenza delle tribù avverse al dominio romano ed erano estremamente difficile e costose per l'esercito romano. L'autore stima che la popolazione romana in Spagna da circa 65.000 realtà diminuita tra il 153-133 aC. L'autore fornisce due ben scritti sulla campagna per illustrare la natura della guerra di Spagna: La campagna di Viriatus (147-139 aC) e le guerre Numantina (153-133 aC).

Nel suo insieme, questo volume è una sintesi utile delle più importanti tribù barbariche occidentali che si opponevano all'egemonia romana. 


 

Rome at War: Farms, Families, and Death in the Middle Republic

Rome at War: Farms, Families, and Death in the Middle Republic
(Studies in the History of Greece and Rome)

Nathan Rosenstein

Gli storici hanno a lungo affermato che nel e dopo la guerra annibalica,la Repubblica Romana ricorse alla coscrizione militare per un lungo periodo. Il servizio militare avrebbe contribuito a portare, la scomparsa delle piccole aziende agricole in Italia e che la miseria dei cittadini impoveriti divenne poi carburante per le conflagrazioni sociali e politici della tarda repubblica. Nathan Rosenstein contesta questa affermazione, mostrando come Roma riuscisse a conciliare i bisogni della guerra e l'agricoltura per un lungo periodo dell'epoca della repubblica. La chiave, Rosenstein sostiene, sta nel riconoscere il ruolo fondamentale di formazione della famiglia. Attraverso l'analisi dei modelli delle necessità delle famiglie per il lavoro agricolo. Questo dimostra come la famiglie spesso ha avuto un surplus di manodopera per soddisfare le esigenze della coscrizione militare. Forse cosa determino la crisi sociale del II secolo aC? Rosenstein sostiene come la guerra aveva come conseguenze demografiche importanti, aspetto e causa non riconosciuta dagli storici precedenti: la pesante mortalità militare paradossalmente avrebbe contribuito a sostenere un drammatico aumento delle nascite, portando in definitiva a sovrappopolazione e la mancanza di terra.

Villes et peuplement dans l'Illyricum protobyzantin

Villes et peuplement dans l'Illyricum protobyzantin.
Actes du colloque de Rome (12-14 mai 1982)
(Collection de l'École française de Rome 77)
Gilbert Dagron (ed)
Due o tre tipi di problemi hanno sempre attirato l'attenzione degli storici, quando sono interessati nell'Illirico protobyzantin: da una parte amministrativa ed ecclesiastica, a causa della posizione centrale occupata dalla regione tra le due parti della ex impero romano, e fu allora di definire il luogo dell'Illirico nella nuova configurazione del potere, e gli eventi d'altra parte, a causa degli sconvolgimenti nella regione che hanno portato da ondate successive di invasori barbari. Oppure è lo specialista oggi, grazie soprattutto ai numerosi scavi e reperti archeologici, una risorsa materiale che si è notevolmente rinnovata e che consente nuovi approcci alla all'Illiria protobyzantin: processo di acculturazione tra gruppi e slavi le città imperiali, nascita di un nuovo potere urbanistico che sostituisce le vecchie istituzioni comunali e profonda revisione della struttura delle popolazioni illiriche ruralizzazione città diminuzione e l'economia che influenzano i termini della liquidazione e il carattere del paesaggio urbano, ecc. La città è in realtà al crocevia di quasi tutte le domande che ora può chiedere il rilancio degli studi illirici e abbiamo capito che è stato centrale nel lavoro del simposio tenutosi a Roma 12, 13 e 14 maggio 1982. Tuttavia, nessun aspetto delle ultime ricerche sul all'Illiria protobyzantin è stato trascurato durante il simposio le cui azioni apportano un contributo essenziale a qualsiasi discussione sulle condizioni in cui le merci, nell'ambito delle invasioni e la partizione tra Oriente e Occidente, il passaggio dall'antichità al Medioevo.

«No alla discarica vicino a Villa Adriana»

«No alla discarica vicino a Villa Adriana»
Corriere della Sera – Roma 12/11/2011

Il presidente della Commissione nazionale italiana per l'Unesco, Giovanni Puglisi, «si associa alle forti preoccupazioni espresse da rappresentanti della società civile italiana e dalla stampa internazionale circa la prevista apertura di una discarica a Corcolle, a poche centinaia di metri da Villa Adriana di Tivoli, proclamata dall'Unesco "Patrimonio dell'Umanità" nel 1999». «Esprimo la mia forte preoccupazione e il mio più profondo rammarico — dichiara Puglisi — per le conseguenze che l'apertura della discarica potrà avere sull'immagine dell'Italia nel consesso internazionale, solo pochi mesi dopo i tragici crolli di Pompei». «E mio dovere associarmi agli accorati appelli rivolti dalla società civile italiana e dalla stampa internazionale alle massime autorità dello Stato — aggiunge Puglisi — nell'auspicio che Villa Adriana e le aree archeologiche circostanti siano tutelate in ogni modo. Affinché per mille e mille anni ancora si possa ritrovare - a Villa Adriana e negli altri luoghi-simbolo del patrimonio culturale dell'umanità - il senso della propria storia e della propria identità».

lunedì 28 novembre 2011

«No» ai rifiuti tra i siti archeologici

«No» ai rifiuti tra i siti archeologici
Ann. Con.
Il tempo - Roma 13/11/2011

Il consiglio comunale ribadisce che la discarica a Corcolle non deve essere aperta
Nuova ipotesi. Un impianto nei terreni dell'ex Pio Istituto Santo Spirito

TIVOLI. L'immondizia di Roma tra siti archeologici, santuari e acquedotti romani non ce la vogliamo. È chiaro l'indirizzo dato dal consiglio comunale di Tivoli sulla questione della discarica che dovrebbe sorgere nel sito Corcolle-San Vittorino, contenuto all'interno dell'ordine del giorno presentato dai consiglieri Antonio Pisapia, Udc, Laura Cartaginese, Pdl, e Carlo Centani, Amore per Tivoli, e votato all'unanimità. Nel documento, oltre a prendere atto delle contestazioni messe in atto da associazioni e cittadini contro la decisione del Prefetto, Giuseppe Pecoraro, che ha individuato in quell'area e a Riano il posto dove delocalizzare provvisoriamente i rifiuti capitolini, il consiglio manifesta il suo allarme per i «criteri espressi dal Commissario Straordinario che vedono nei siti di Corcolle e Riano come unica caratteristica utile alla discarica, la morfologia del territorio con gli incavi già presenti» . Alle questioni di metodo si aggiungono quelle di merito: oltre alla vicinanza alla Villa Adriana e al Santuario di San Vittorino, c'è da dire che la rete infrastrutturale attuale non è sufficiente ad accogliere la mole di traffico di mezzi pesanti, che aumenterebbe in maniera esponenziale. Guardando concretamente al tema rifiuti, invece, ad essere ventilata è anche l'ipotesi di individuare un'area nel territorio del comune di Tivoli in cui localizzare un impianto di compostaggio o di Trattamento Meccanico Biologico. Tra i terreni candidati quelli dell'ex Pio Istituto Santo Spirito.

sabato 26 novembre 2011

Mosaici romani infestati dalle erbacce nel degrado l´area di piazza Vittoria

Mosaici romani infestati dalle erbacce nel degrado l´area di piazza Vittoria
v.f.
La repubblica - Palermo 13/11/2011

Le tessere scomposte dalla pioggia e dalla vegetazione. L´ultimo intervento nel 2001

Abbandonati alle ortiche. Ecco come si presentano i mosaici dell´area archeologica di Villa Bonanno, a piazza della Vittoria, circondati e infestati da erbacce, trifoglio e vegetazione incolta che rischiano di deturpare questo sito. Riuscire a distinguere in nell´intreccio di piante i mosaici policromi e bicromi, risalenti all´età Severina - primi decenni del terzo secolo dopo Cristo - di cui oggi non rimangono che poche sezioni, non è affatto semplice. A peggiorare poi la situazione sono state le piogge delle scorse settimane che in vari punti hanno intaccato i mosaici, riempiendoli di umidità che si è trasformata in muffa.
Dall´unità operativa Beni archeologici dell´assessorato regionale Beni culturali spiegano che «la pulizia non è semplice ed è stata fatta nei limiti della disponibilità dei soldi». Ma assicura invece interventi immediati il soprintendente Gaetano Gullo: «Stiamo utilizzando la Forestale per quanto riguarda la pulizia e la sistemazione dell´area, al più presto riporteremo la situazione alla normalità».
Eppure sino ad ora del complesso archeologico sembra che nessuno si sia occupato sul serio. Le informazioni su Internet sono sommarie e al numero di telefono indicato per le informazioni non risponde nessuno. All´ingresso della villa nessun segnale indica l´area archeologica. Solo tre cartelli, alcuni usurati dal tempo, raccontano ciò che in realtà non si vede, perché delle sezioni musive disposte in esterno quello che rimane è ormai ben poco. I più pregiati, come il Mosaico delle stagioni e quello di Orfeo sono custoditi al museo Salinas. L´ultimo intervento risale al 2001, da allora più nulla. Otto i custodi che si occupano della sorveglianza: uno assente per malattia, i rimanenti si alternano tre la mattina e tre il pomeriggio. E il progetto proposto dalla Soprintendenza per rendere il complesso maggiormente fruibile con fondi europei, non è stato finanziato per la scarsità delle risorse. E i mosaici restano in attesa di cure, mentre l´inverno si avvicina a grandi passi.

venerdì 25 novembre 2011

Mare delle Egadi, trovato il quarto rostro

Mare delle Egadi, trovato il quarto rostro
Francesco Greco
La Sicilia 15/11/2011

Il mare trapanese continua a restituire reperti e testimonianze delle guerre puniche. Un altro rostro di nave romana, è stato recuperato casualmente al largo delle Egadi, da un peschereccio che era impegnato in una battuta di pesca a strascico.
Il reperto, in discrete condizioni di conservazione, è stato tirato in superficie assieme alle reti, quando l'imbarcazione si trovava a una distanza di circa sette miglia dall'isola di Levanzo. Si tratta del quarto rostro restituito dal mare negli ultimi sette anni, compreso quello bronzeo custodito al Museo Pepoli. Un altro è stato ritrovato nelle acque a Nord Ovest di Levanzo, nel corso di una campagna di ricerche condotta per un mese dalla Soprintendenza del Mare della Regione e dalla Fondazione statunitense "Rpm Nautical Foundation". Il progetto, finalizzato a una serie di ricognizioni sistematiche dei fondali dell'arcipelago trapanese, si era sviluppato nell'ambito di una convenzione di collaborazione scientifica tra i due enti, per la ricerca di testimonianze storiche ed archeologiche riconducibili alla battaglia delle Egadi combattuta il 10 marzo del 241 avanti Cristo. Quel rostro fu trovato semisepolto in un fondale sabbioso, a circa ottanta metri di profondità.
L'ennesimo reperto, ritrovato domenica scorsa e subito consegnato alla Capitaneria di porto, non è stato ancora esaminato dalla Soprintendenza. L'intervento degli esperti, già richiesto dalla Guardia costiera che attualmente custodisce il rostro della nave romana, è atteso nei prossimi giorni. «L'importanza del reperto scaturisce dal fatto che questo tipo di elemento navale è rarissimo - viene spiegato - e nel mondo ne sono noti solo alcuni, tra cui quello di Athlit, in Israele, quello conservato presso l'Armeria reale di Torino e un altro recuperato nelle acque siciliane alcuni anni fa».

mercoledì 23 novembre 2011

Ritrovato un sarcofago del III secolo d.C.

Ritrovato un sarcofago del III secolo d.C.
il messaggero - Roma 15/11/2011

Un sarcofago risalente al III secolo dopo Cristo rubato nella chiesa della Madonna della Libera di Aquino nel 1991 è stato ritrovato dal gruppo tutela patrimonio archeologico della Guardia di Finanza fuori dai confini nazionali. Il reperto romano venne rinvenuto nell'800 scavando nella stessa chiesa dove venne impiegato come altare e dove rimase fino al furto. Il sarcofago è decorato con altorilievi rappresentanti una corsa di quadrighe nel Circo Massimo, presumibilmente di Roma. «Mi era stato chiesto di mantenere il riserbo ancora per un po’ - ha detto il sindaco di Aquino, Antonino Grincia - data la delicatezza della fase di recupero ancora in corso. Ma il momento è particolarmente adatto e il sarcofago è ormai recuperato anche se non ancora in Italia perché il ritrovamento è avvenuto all'estero. Così ho ritenuto opportuno annunciare il ritrovamento».

martedì 22 novembre 2011

Le quattro stagioni dal Palazzo Imperiale di Ostia

Le quattro stagioni dal Palazzo Imperiale di Ostia.

Colonne e porti romani ritrovati nel Tevere

Colonne e porti romani ritrovati nel Tevere
di Maura Gualco
L'Unità, 22/09/2005, Roma

Grazie a uno studio della Regione è stato possibile scandagliare il fondale del fiume per conoscerne la morfologia

COLONNE antiche e ponti romani sono stati scoperti sul fondale del fiume Tevere. Lo scopo non era quello di andare a caccia di reperti archeologici ma di scandagliare il letto del biondo Tevere per studiarne gli accumuli di sedimenti, l'erosione subìta: tecnicamente, la sua idrodinamica. E invece, sono saltati fuori addirittura: il Pons Sublicius, il più antico ponte di Roma fatto demolire da papa Sisto alla fine del '400. Ma anche il Pons Neronianus ed alcune colonne. Un vero tesoro sommerso. Circondato, tuttavia, da carcasse di auto e da circa duecento alberi. «Il Tevere racconta Roma» è il progetto che ha permesso di viaggiare sul fondale del fiume grazie ad un metodo d'indagine tra i più innovativi del mondo, ed il primo ad essere utilizzato in Italia per studiare la morfologia del letto del fiume: l'ecoscandaglio multifascio (Multibeam). Lo studio è costato 170mila euro ed è stato finanziato dall'Autorità di Bacino del F. Tevere e dalla regione Lazio. Ed ha interessato il Tevere dalla foce sino al Ponte del Grillo (Monterotondo) per una lunghezza di circa 80 chilometri. «Questo progetto è nato con l'intenzione di coniugare la sicurezza idraulica e la vivibilità di questo importante e storico corso d'acqua», ha spiegato Angelo Bonelli, assessore all'Ambiente e Cooperazione tra i Popoli della regione Lazio. «L'individuazione sul fondale del Tevere dei reperti archeologici - ha continuato - permette la nascita di una collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma, con cui si potrà lavorare
in sinergia per arrivare a sapere di più sulle popolazioni che abitarono il fiume. Va comunque sottolineato - ha concluso l'assessore Bonelli, che nel frattempo annuncia l'istituzione di un parco interregionale del Tevere, da Monte Fumaiolo fino alla foce del fiume - che tale studio deve continuare, anche per mantenere un'opera di manutenzione e di pianificazione del Tevere». Per quale motivo? È importante, ha spiegato il direttore dell'Ufficio Idrografico e Mareografico della Regione Lazio Francesco Mele, poiché questa prima visione dell'alveo sommerso permetterà, in futuro, ulteriori ricostruzioni ar-cheologiche, e di ampliare le informazioni sull'idrodinamica del fiume, sul trasporto delle sabbie, sulla stabilità delle infrastrutture civili, sulla navigabilità stessa dell'alveo, sulla distribuzione dei sedimenti, anche ai fini della mappatura degli ecosistemi e di eventuali inquinanti.

lunedì 21 novembre 2011

Nuova descrizione della Casa delle Vestali secondo il risultato dei più recenti scavi

Marucchi O. – Nuova descrizione della Casa delle Vestali secondo il risultato dei più recenti scavi. La scoperta, nel novembre del 1883, dell’atrio di Vesta durante gli scavi nella parte meridionale del Foro, sotto il Palatino, fu un evento importante che attirò tutti gli studiosi e gli appassionati di antichità romane. Il Marucchi, quindi, negli anni immediatamente successivi compilò una delle prime descrizioni del tempio ritrovato. Pp. 88. Roma, 1887

disegno raffigurante i soccorsi ad un ferito durante un combattimento in arena


disegno raffigurante i soccorsi ad un ferito durante un combattimento in arena.

sabato 19 novembre 2011

Il Mausoleo ritrovato Dal Quadraro alle Terme di Diocleziano nuova dimora per il sepolcro delle meraviglie

Il Mausoleo ritrovato Dal Quadraro alle Terme di Diocleziano nuova dimora per il sepolcro delle meraviglie
LAURA LARCAN
La Repubblica 25-09-11, ROMA


«ANCORA ricordo quel giorno : l a gomma del mezzo meccanico si infilò in una buca, poi s' aprì un vuoto e scoprimmo una voragine nel terreno. Ci calammo subito e trovammo la stanza. Fu uno spettacolo: le pareti erano completamente ricoperte di stucchi di una raffinatezza mai vista». Si coglie ancora un pizzico di emozione nelle parole di Roberto Egidi, direttore del Palatino e Foro romano, quando racconta la storia del Mausoleo "ipogeo" del Quadraro della prima metà del I secolo a. C. uno dei capitoli più incredibili del patrimonio archeologico di Roma. Sembrava che la sua vicenda dovesse rimanere chiusa nelle viscere della terra stessa che l' aveva svelato nel 1992, al IV miglio dell' antica via Latina, presso l' Acquedotto Claudio, al termine di una campagna di scavi preventivi per la ferrovia Roma-Ciampino.E invece il Mausoleo sarà visibile al pubblico con un ardito progetto di valorizzazione da un milione di euro che farà parlare di sé. Sarà ricostruito nell' area dei giardini d' ingresso alle Terme di Diocleziano, tra piazza dei Cinquecento e piazza della Repubblica, mantenendo intatta la sua struttura sotterranea. «Sono partiti i lavori di scavo per la realizzazione degli ambienti ipogei dove inseriremo la ricomposizione del monumento - annuncia Egidi a capo dell' operazione - Si tratta di un' area già scavata tempo fa per ricavare bagni pubblici. Il progetto prevede una copertura con prato naturale, mentre scalette consentiranno di scendere nei sotterranei e da un ballatoio affacciarsi sulla camera funeraria per ammirare quel capolavoro». Il progetto, finanziato con 600 mila euro, si completerà entro due anni. Nel frattempo, il corredo degli stucchi è al centro di un delicato intervento di restauro da concludersi entro dicembre. Con 400 mila euro, fondi del commissario Roberto Cecchi, si è proceduto al distacco e al riposizionamento su nuovo supporto. «É vero che le norme del restauro prediligono sempre di lasciarei reperti in sito- osserva Egidi - ma la situazione del mausoleo è a rischio. Il monumento è indifendibile da attacchi atmosferici e possibili atti vandalici. L' area non è musealizzabile». Appena scoperto, con l' allora soprintendente Adriano La Regina, rimase aperto per sole 24 ore, per consentirne la documentazione. Ma nel 2008, su suggerimento di Fausto Zevi, si decise di riaprirlo e, d' accordo col soprintendente Angelo Bottini, di salvarlo. L' operazione consentirà di scoprire questo sepolcro articolato in un' anticamera e una camera di 5 metri per 4, coperte da volte a botte, dove si apre una nicchia destinata a conservare il sarcofago. «Non rimane traccia ne del sarcofago, ne delle urne - dice Egidi - Un ampio buco sulla volta ci fa pensare che sia stato già violato in antichità». Ma il vero spettacolo lo riservano gli stucchi: volte e pareti sfoggiano una variegato repertorio di fregi con quadretti figurati incorniciati da ghirlande e festoni di foglie. Tra i vari personaggi sono stati identificati Demetra e Dioniso. «Immagini come queste in un edificio sepolcrale sono collegate ai culti misterici di origine greca - avverte Egidi - I proprietari erano seguaci delle religioni di tradizione orfico-ellenistica». Nella camera principale, lesene angolari con capitelli ornati da foglie d' acanto e volute incorniciano una falsa porta ad effetto trompe l' oeil, mentre la lunetta accoglie due grifoni araldici.

giovedì 17 novembre 2011

Scoperto l'Arsenale di Traiano

Scoperto l'Arsenale di Traiano
Fabio Isman
Il Messaggero 20/9/2011
ROMA — L'Arsenale dell'urbe di Traiano, un vastissimo edificio di oltre 145 metri risalente al secondo secolo dopo Cristo, è stato scoperto tra Ostia e Fiumicino. Si presume che nell'Arsenale si costruissero le navi della flotta imperiale, che venivano poi riparate nello stesso edificio durante l'inverno.

ROMA - Eccezionale scoperta tra Ostia e Fiumicino: un vastissimo edificio, lungo almeno 145 metri; probabilmente si tratta dell'Arsenale dell'Urbe di Traiano. Doveva possedere volte alte 12 metri, ed è tra l'antico Porto di Claudio, inaugurato da Nerone e dismesso perché spesso si insabbiava, e il bacino esagonale di quello di Traiano, edificato tra l'anno 110 e il 117. E' stato individuato dagli archeologi dell'Università di Southampton e della British School di Roma, che scavano con l'ausilio di una cooperativa, e in collaborazione con la Soprintendenza archeologica di Roma: stanno per iniziare la loro quinta campagna. Finora, dell'edificio sono riemersi una prima navata (pare che fossero otto, parallele), larga 12 metri e lunga 58; e alcuni pilastri in opera laterizia, rettangolari, di due metri per uno e mezzo. Le navate erano aperte sia sul bacino di Claudio, iniziato nell'anno 42 e completato nel 64, sia su quello di Traiano. Si presume che nell'edificio si costruissero le navi, e si riparassero durante l'inverno. La scoperta sarà presentata domani, a Porto; ma è stata già annunciata ieri, con molti dettagli. Nei pressi, sorge il palazzo imperiale: recenti scavi del professor Simon Keay, che nell'area ha individuato pure un anfiteatro lungo 42 metri e largo 38, fanno ritenere che costituisse la residenza di un funzionario, incaricato di coordinare il movimento delle navi e dei carichi nel porto. Che questo appena scoperto fosse una sorta di arsenale, lo lasciano intendere alcune iscrizioni su pietra, trovate in zona: citano un «collegium» dei «fabri navales portuensis», e un altro dei «fabri navales ostensium ; una corporazione, forse, di schiavi liberati. Ma non soltanto lo spettacolare immobile rende probabile che Porto, città sorta presso il bacino, fosse il cantiere navale imperiale per buona parte del II secolo d.C., e non soltanto un luogo di magazzini, come finora si riteneva; forse, era anche in relazione con la celebre flotta di Miseno, nel golfo di Napoli, le cui navi potrebbero essere state ricoverate o riparate proprio qui: anche in questo caso, lo fanno supporre iscrizioni che menzionano proprio quei marinai, trovate sia in città, sia sul sito stesso degli scavi.
Il colpo d'occhio dell'edificio era certamente del tutto impressionante: simile a quello delle analoghe navate dei Mercati Traianei a Roma, che sono assolutamente coevi. Per trovare qualcosa di analogo, occorre recarsi sulle rive del Tevere, dove, da 300 anni prima, c'era il Porticus Aemilia, le cui rovine sono ancora visibili a Testaccio: lungo 487 metri, 50 navate di 60 metri, alte quasi otto e mezzo. I piloni ritrovati indicano che, alle estremità, le navate aperte sui due bacini terminassero con altrettanti archi di sicura imponenza: i piloni estremi sono infatti maggiori, fino a tre metri di lato. Ma adesso, sarà la nuova campagna di scavi, che si svolgerà ad ottobre, a fornire maggiori chiarimenti. Perché la navata riscoperta muta aspetto e funzioni nell'uso successivo: prima, si edificano una serie di stanze contigue, tra la fine del II e l'inizio del III secolo; nel V, diventano granai; e nella prima metà del VI, durante le guerre tra i Bizantini e gli Ostrogoti, vengono demolite. Oltre che dagli archeologi inglesi, che le hanno compiute, tutte queste importanti scoperte sono studiate dai colleghi italiani della soprintendenza di Roma, diretta da Annamaria Moretti, e da Angelo Pellegrino, il suo fiduciario in loco: ricostruire le vicende del «porto a mare» dell'Urbe (quello fluviale era sul Tevere, a Testaccio), è fondamentale e non semplice. Dapprima, c'era uno scalo a Ostia; poi, il bacino di Claudio, terminato sotto Nerone; infine quello esagonale di Traiano, che, nonostante gli sforzi, lo Stato non riesce a possedere: è tuttora privato, degli Sforza Cesarini, che sono imparentati con i Torlonia. Il bacino misura 358 metri per ogni lato, ha una diagonale di 716; era profondo alme-no cinque metri, e poteva ospitare 200 e forse più navi; forse è opera di Apollodoro di Damasco. Tutto attorno, sono stati riportati alla luce numerosi immobili; questo Arsenale (non lontano dall'aeroporto, e ciò ne rende possibile una visita anche a chi vi transita) è solo il più recente tra loro; ma certamente, uno dei più importanti. Le sculture rinvenute sul posto nell'Ottocento sono nella collezione Torlonia: era un museo a Porta Settimiana chiuso negli Anni '50, per ricavarne appartamenti; quindi, ora sono invisibili: anche uno splendido rilievo che narrava la vita dello scalo. Sia il Porto di Claudio, sia quello di Traiano possedevano un faro, probabilmente quadrangolare, composto di tre blocchi sovrapposti, su cui veniva acceso un fuoco, visibile, dice qualcuno, da una distanza di 45 chilometri: però, nessuno dei due, purtroppo, esiste più. Per Svetonio, uno poggiava su una nave affondata. Adesso, questa scoperta potrà gettare luce maggiore sulla struttura, e sul suo uso; sapremo qualcosa d'altro su uno snodo da cui è sicuramente derivata la potenza dell'Urbe sul mare e, quindi, sul mondo allora conosciuto. Merci e usi militari: forse, l'arsenale delle loro navi era proprio qui.

martedì 15 novembre 2011

Quando i romani crearono il vino

La Repubblica 9.11.11
Un libro ricostruisce l'origine dei vitigni moderni
Quando i romani crearono il vino
Marco Aurelio Probo incaricò i legionari di piantare viti nei territori conquistati. È uno dei punti del saggio di Giovanni Negri e Elisabetta Petrini
di Marino Niola

C´è una cosa che gli Italiani non sanno e che i Francesi non vogliono sapere. Che a fare la gloria dei grandi vini d´Oltralpe sono stati i Romani. Con buona pace dei Galli e di Asterix. Lo dicono Giovanni Negri e Elisabetta Petrini, autori di Roma caput vini. La sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino, (Mondadori, pagg. 216, euro 18). Gli autori, sulla scorta di uno screening genetico di tutta la viticultura europea, riscrivono la storia del vecchio mondo in chiave enologica. Dando a Cesare quel che è di Cesare. Se è vero, infatti, che i Greci sono stati i primi esportatori di grandi crus, come il leggendario rosso di Chios, è solo con l´avanzata delle legioni capitoline che la vite è arrivata ai quattro angoli del globo. E il vino è diventato un consumo di massa, una bevanda per tutti.
Grazie a una pensata geniale di Marco Aurelio Probo, imperatore tra il 276 e il 282 dopo Cristo, che in soli sei anni ha ridisegnato la geografia enogastronomica del mondo antico e posto le basi di quella moderna. Trasformando i suoi legionari in vignaioli con il compito di piantare viti in tutti i territori conquistati. Per produrre in loco il vino per le truppe tagliando drasticamente i costi del trasporto. In questo modo la Pannonia, l´Illiria, la Dalmazia, la Gallia, l´Iberia diventano altrettanti chateaux, tutti al servizio dell´imperatore. Che si può considerare il primo esempio di grande propriétaire récoltant.
E che tutte le grandi bottiglie del vecchio continente, dalla Borgogna alla Mosella, dal Bordolese al Reno discendano dai gloriosi tralci quiriti lo confermano i loro nomi. Che gli autori ripassano in rassegna facendo apparire dietro denominazioni apparentemente autoctone una discendenza che più latina non si può. A cominciare dall´etichetta più prestigiosa del mondo, quella Romanée Conti che prende l´appellativo dal fazzoletto di terra che i Borgognoni chiamarono romana per mostrarsi grati all´imperatore Probo. E l´aristocraticissimo Mersault non è altro che il muris saltus, letteralmente salto del topo. Mentre lo Champagne deriva dalla parola campus, la stessa da cui viene Campania. Che fu la terra del Falerno, del Cecubo e del Surrentinum, le più esclusive appellations dell´antichità. Insieme alla falanghina che era il vino di pronta beva per le falangi. Una sorta di razione kappa per tenere alto l´umore della truppa.
Tanti doc per una sola origine. L´infinita fantasmagoria di colori, odori, sapori della tavolozza enologica contemporanea insomma discende quasi esclusivamente da uno stesso ceppo.. Che i Romani chiamano semplicemente nostrum, come dire nostrano. E che nel medioevo, diventerà Heunisch che in tedesco vuol dire la stessa cosa. Una specie di Adamo dei grappoli che troverà la sua Eva nel Frankisch, che significa semplicemente Altro, forestiero. Dal matrimonio nascerà il 75 per cento dei vitigni europei, dallo Chardonnay al Pinot, dal Traminer al Sauvignon, dalla Schiava al Nebbiolo di Dronero. Figli ma anche figliastri. Che spesso hanno altrettanta fortuna degli eredi legittimi. Un esempio per tutti, il Chianti così detto dal gentilizio etrusco Clanti, letteralmente figliastro.
Mettendo insieme storia e genetica, gli autori ricostruiscono l´intero albero genealogico del nettare di Bacco. Ma anche le ragioni sociali della sua irresistibile ascesa. Che ne fa la bevanda simbolo dell´imperialismo romano. Esattamente come la Coca Cola lo è di quello americano. E proprio nella distanza tra il succo della vite e la bibita alla cola Negri e Petrini misurano la distanza tra l´impero di ieri e quello di oggi. Fra Roma e New York. Fra Manhattan e i fori. Fra i lupanari di Pompei e le slots di Las Vegas. Fra Dioniso e Babbo Natale. Fra fornicatio e Californication. Insomma tra una civiltà dove le bollicine sono l´effetto di un fermento divino e un´altra dove è tutta questione di bicarbonato.