Il Tevere restituisce tesori e sabbia
Giulio Mancini
Messaggero Cronaca di Roma 22/9/2005
Il Tevere tornerà ad essere il nastro trasportatore di sabbia che lungo tutta la sua storia ha allungato la foce nel Tirreno, spostando solo negli ultimi duemila anni il limite della terraferma di oltre due chilometri. Basterà riversare le centinaia di migliaia di metri cubi di rena accumulatasi a ridosso della diga di Corbara, vicino Orvieto.
E' la ricetta alla quale stanno lavorando l'Autorità di Bacino del Tevere e l'assessorato regionale all'Ambiente per combattere l'erosione che attanaglia la costa di Ostia, Fiumicino e Focene. Lo studio propedeutico è stato svolto durante l'estate a cura della facoltà di Ingegneria dell'università "La Sapienza" attraverso un nuovo strumento, l'ecoscandaglio multifascia "multibean", in uso per la prima volta in Italia. Si stanno rilevandole dinamiche di trasporto sul letto del fiume e i dati si confronteranno con una nuova campagna prevista per la primavera prossima.
Il modernissimo strumento ha anche consentito importanti scoperte in campo archeologico: reperti e strutture sono affiorate dai fondali e sono state "fotografate" dallo scandaglio. Tra queste il basamento del Ponte Sublicio, torri di difesa delle mure Aureliane e colonne affondate a Fiumicino.
Emerge dalle sabbie del Tevere la storia della Roma di duemila anni fa. Un "libro" sul passato, scritto con fasci di ultrasuoni e tecniche sofisticate che ci restituiscono ponti, torri difensive e traffici marittimi.
E' una città antica che trova conferme ma anche sorprese rispetto alle ipotesi degli archeologi quella che si sta rivelando dagli studi avviati dalle facoltà di Ingegneria e di Scienze dell'università La Sapienza. Grazie a una tecnologia sperimentata per la prima volta in Italia, gli esperti per conto dell'Autorità di Bacino Tevere e dell'assessorato regionale all'Ambiente hanno passato "al setaccio" i fondali degli ottanta chilometri terminali di fiume. Abbinando i metodi convenzionali di indagine geofisica (i sonar) al nuovissimo ecoscandaglio multifascia (detto multibean), sono affiorate interessanti scoperte archeologiche.
«In alcuni casi — spiega Pia Federica Chiocci, ricercatrice di Topografia antica presso la facoltà di Scienze umanistiche — le ricostruzioni hanno rivelato la presenza di manufatti che suggeriscono importanti novità nella ricostruzione dell'antica topografia di Roma. I dati sono ancora in fase di elaborazioni ma alcune indicazioni sono già chiare».
Innanzitutto quello che si sospetta possa essere il Ponte Sublicio, opera definita dagli esperti una delle mitiche fondazioni di Roma. «Immediatamente sotto l'Aventino, nei pressi dell'Istituto San Michele — segnala Chiocci — lo studio ha evidenziato la presenza di due piloni di un ponte che era ancora visibile alla fine dell'800. Si tratta con ogni probabilità dei resti del più antico ponte di Roma, il Pons Sublicius, fatto demolire alla fine del '400 da papa Sisto IV per ricavarne con il marmo palle di cannone».
Ma a offrire una rilettura curiosa della antica Roma è il ritrovamento di strutture immerse in due punti diversi del Tevere eppure tra loro connessi. «All'altezza di Testaccio - prosegue l'esperta di Toponomastica antica - nel punto in cui le mura Aureliane attraversavano il fiume, le immagini multibean evidenziano la presenza di una potente struttura in blocchi. Si tratta di cubi di sei metri per otto, alti diversi metri. E possono essere messi in relazione con le strutture rilevate più a nord, cento metri a monte di Ponte Sisto, e interpretate in passato come resti del Pons Agrippae. Anche in questo caso le strutture si ritrovano in connessione con il circuito murario nel punto in cui avveniva il passaggio da Trastevere a Campo Marzio. L'ipotesi è che quei blocchi immersi nel Tevere fossero dispositivi di difesa quali torri che dal 271 dopo Cristo, svettando nel centro del fiume, controllavano i punti in cui a nord e a sud la città restava sguarnita».
Lo studio con la nuova tecnica ultrasuoni oltre che confermare la presenza del Pons Neronianus al di sotto di ponte Vittorio Emanuele II, tuttora visibile anche nei periodi di magra, ha poi fatto scoprire reperti a dieci-quindici metri di profondità. «Si tratta di due aree a monte di Capo Due Rami, nei pressi di Fiumicino — svela l'esperta - Qui sono state rinvenute colonne e blocchi che dalle misure suggeriscono la loro antichità. Sono reperti che hanno misure multiple del piede romano. Dai sedimenti del fiume, infatti; emergono colonne lunghe 20 piedi (circa sei metri, ndr) dal diametro di due piedi e mezzo (circa 75 centimetri), colonne più larghe e blocchi quadrati di cinque piedi e mezzo (circa 165 centimetri)». Potrebbero essere lì per le conseguenze dell'affondamento di una nave.
Gli studi proseguono, in particolare sulle rilevazioni acquisite nel Tevere nei cinquanta chilometri a monte di Roma. «Da quella zona - anticipa Chiocci - ci aspettiamo indicazioni importanti su ponti dell'area di Veio, della Salaria, dell'Etruria: saranno determinanti per ricostruire nel dettaglio la rete di collegamenti extraurbani nell'antica Roma».