martedì 17 marzo 2009

Archeologia, alla foce del Tevere rivive il porto dei due imperatori

Archeologia, alla foce del Tevere rivive il porto dei due imperatori
Sergio Rinaldi Tufi
Il Messaggero 16/03/2009

ROMA (16 marzo) - Era il più importante insediamento portuale del Mediterraneo, fondamentale per l’approvvigionamento di Roma imperiale: la sua posizione centrale nell’ambito del “Mare Nostrum” lo rendeva perfino più “strategico” rispetto al celebre scalo di Alessandria d’Egitto. Oggi i resti di Portus, il grande complesso costituito dai porti di Claudio e di Traiano e dai loro annessi, presso la foce del Tevere non lontano da Ostia, costituiscono un sito archeologico unico al mondo, anche se il porto di Claudio è in gran parte interrato e se può creare qualche confusione il fatto che la linea di costa, nei secoli,è avanzata di circa 5 chilometri. Spicca il grande bacino esagonale progettato da Apollodoro di Damasco (lo stesso architetto che realizzò a Roma il Foro di Traiano, e che aveva accompagnato l’imperatore nelle campagne per la conquista della Dacia), ma non mancano altre importantissime strutture. Non manca neppure qualche rammarico: una parte del complesso è di proprietà pubblica, ma una parte (fra cui la quasi totalità del bacino) è rimasta in mani private.

In compenso, gli studi e le ricerche proseguono intensamente: un ampio quadro della situazione è stato proposto nei giorni scorsi da un convegno tenutosi presso la British School at Rome, la prestigiosa accademia di via Gramsci che, insieme con altre istituzioni (Soprintendenza archeologica di Ostia, Ecole Française de Rome, Arts and Humanities Research Council, Università di Southampton, Cambridge e Lione), porta avanti da tempo il “Portus Project”. All’inizio dell’età imperiale, Ostia, fondata secondo la leggenda da Anco Marcio (quarto re di Roma), era un’importante città alla foce del Tevere, ma non aveva un porto adeguato: le grandi navi che portavano grano dall’Egitto, e tante altre merci e derrate da tutto l’Impero per i consumi dell’Urbe, dovevano fare scalo a Pozzuoli. Claudio fece costruire nel 42 d.C. un grande bacino due miglia a nord della foce, con moli ricurvi, darsena, e con un sistema di canali grazie ai quali le navi fluviali, dopo aver imbarcato i carichi portati via mare dalle navi più grandi, potevano avviarsi lungo il Tevere verso Roma.

Celebre era il faro: la base fu ottenuta riempiendo e affondando la nave, lunga oltre 100 metri, con cui Caligola, il predecessore di Claudio, aveva fatto trasportare dall’Egitto l’obelisco che fu collocato nel Circo Vaticano e che oggi si trova al centro di Piazza San Pietro. Era presso l’aeroporto di Fiumicino, non lontano dal Museo delle Navi, che ospita dal 1979 sette imbarcazioni rinvenute durante i lavori di costruzione del “Leonardo da Vinci”. Ma per il porto di Claudio si presentarono presto problemi di insabbiamento. Traiano, fra 110 e 112 d.C., fece costruire il nuovo impianto. Il bacino esagonale (ogni lato misura oltre 357 metri) era in grado di ospitare 100 navi. L’impianto precedente presumibilmente rimase, almeno per qualche tempo, in funzione; certamente fu utilizzata la darsena, che si trovava anzi in una posizione di collegamento fra i due bacini; furono potenziati i canali, uno dei quali, ridenominato Fossa Traiana, è quello detto oggi Fiumicino, che ha dato il nome alla città.

Grandioso il sistema di magazzini, ulteriormente rafforzato da Settimio Severo (fine del II secolo-inizio del III); all’angolo nord-ovest del bacino era il cosiddetto Palazzo Imperiale, in realtà forse residenza del procurator, il magistrato preposto al porto e all’Annona; poco si sa, invece, proprio di Portus, la cittadina sorta in funzione dell’approdo, anche se è nota e importantissima la necropoli, posta sull’Isola sacra al di là della Fossa Traiana.
Alcune delle ricerche in corso tentano di ampliare le nostre conoscenze topografiche con l’uso di prospezioni geofisiche, che consentono di accertare, senza scavo, la presenza di strutture antiche nel sottosuolo. Operazioni in cui eccellono gli studiosi britannici, e a cui in qualche caso fa seguito ovviamente lo scavo vero e proprio: nel convegno alla British School, Simon Keay(Università di Southampton) ha illustrato le indagini nel Palazzo Imperiale. Colpisce una grande struttura circolare, per cui si sono tentate brillanti interpretazioni: teatro marittimo? “ludus” per l’addestramento di gladiatori?Un’équipe italo-francese(Boetto-Bukoviecki-Monteix- Rousse) sta avviando invece lo studio dei magazzini (Horrea), facendo tesoro dei dati forniti dai “Grandi Horrea” della vicina Ostia: qui la capienza era dalle 1600 alle 2430 tonnellate di grano, che potevano essere smaltite in un mese da una trentina di navi fluviali, capaci di 70 tonnellate.

A Porto si riscontrano fin d’ora alcune analogie nell’assetto degli ambienti, studiati per evitare la dispersione del grano stesso, che, per conservarlo aerato e asciutto, si immagazzinava sfuso e non in sacchi. Particolarmente numerose le ricerche in ambito “geoarcheologico”: conformazione dei bacini e dei moli, ma anche del letto del Tevere; circolazione delle correnti; configurazione della rete di canali. Proprio quest’ultimo aspetto è importantissimo per una migliore comprensione dei collegamenti dei due bacini fra loro, con il fiume e con il mare: e le indagini in corso, anche ricostruendo tratti oggi perduti, stanno rivelando che quella rete era più articolata di quanto forse non si pensasse.