sabato 10 maggio 2008

La «Venere» di Alba Fucens

La «Venere» di Alba Fucens
di Paolo Liverani
03 Dic 2006 , Il Sole 24Ore

E il secondo dopoguerra e si riparano i danni bellici, ma si cerca di riavviare anche la normale attività di ricerca e il suo tessuto internazionale.
A Roma le varie accademie e scuole nazionali riprendono i progetti di indagine archeologica in una virtuosa gara di emulazione. Anche l'Accademia Belgica, dalla sua sede di fronte al Museo di Valle Giulia, decide di imboccare questa via. La dirige Fernand De Visscher, un professore di Diritto romano dell'Università di Lovanio.
De Visscher si converte all'archeologia e si associa un collega archeologo: Franz De Ruyt, un etruscologo che a sua volta si convertirà all'archeologia romana appena avrà iniziato gli scavi ad Alba Fucens in Abruzzo.
È questa una colonia romana del 303 a.C. posta su un'alta collina ben difesa, in vista della pianura del Fucino. Non vi erano mai state eseguite ricerche serie e il sito all'epoca non era certo attrezzato come oggi: durante le campagne di scavo ci si doveva adattare a dividere i pagliericci con qualche pulce; ovviamente niente luce elettrica ma solo carburo. Non parliamo poi di acqua calda e di altre diavolerie moderne. Ma la ricerca su un terreno mai indagato ripagava tutti i disagi con la ricchezza dei risultati.
Era quella, infatti, l'occasione per chiarire finalmente vecchie domande che oggi sembrerebbero scontate, ma che allora erano temi di un dibattito vivissimo ancora privo di dati derivanti da ricerche specifiche e mirate. Per esempio la datazione delle mura di cinta "ciclopiche", su cui si sentivano le opinioni più fantasiose. Risulteranno repubblicane e risalenti al primo impianto urbano, come sospettava già Giuseppe Lugli, il maggiore
conoscitore di tecnica edilizia antica e, non a caso, uno dei maggiori sostenitori di questo progetto di scavo.
Anche l'urbanistica della colonia, uno dei primi esempi di pianificazione romana a pianta regolare, era una novità tutta da scoprire, visto che gli studi di Schmiedt e Castagnoli su Norba — tanto per citare un altro caso famoso — sarebbero apparsi solo negli anni successivi.
Verranno così alla luce uno dopo l'altro il mercato, le terme, la rete viaria e la cinta perimetrale, il foro con le botteghe, le domus, il grande santuario di Ercole che attende ancora di essere scoperto nella sua interezza, il teatro. Verranno alla luce anche le tracce del terremoto che decretò la fine della città all'epoca di Teodorico, probabilmente nel 501, quando anche il Colosseo a Roma venne danneggiato dalle scosse sismiche.
Ora una mostra, piccola ma affettuosamente curata, è stata aperta nella sede dell'Accademia Belgica dal titolo «Poco grano molti frutti». Sono esposti i ritratti romani più interessanti, alcune sculture e iscrizioni storicamente significative, materiale ceramico, bronzi, ma anche foto d'epoca e appunti personali degli archeologi belgi che restituiscono il profumo, l'atmosfera appassionata e quasi ingenua — nel senso migliore del termine — di quegli anni entusiasti, in cui con pochi soldi si ottenevano grandi frutti. È questo il messaggio che si è tentati di attribuire al titolo, in realtà una citazione dall'autore latino Silio Italico.
Quell'entusiasmo a dire il vero non è spento neanche oggi e aspettava solo l'occasione giusta per riemergere. La mostra che rievoca le ricerche passate serve infatti anche a rilanciare quelle future, che sono già pro-
grammate m unita d'intenti tra studiosi belgi e italiani e che ci si augura portino frutti altrettanto abbondanti.

Poco grano molti frutti. 50 anni di archeologia ad Alba Fucens, Roma, Accademia Belgica, via Omero 8 (fino al 10 dicembre 2006); O Bruxelles, Museo del Cinquantenario (dal 22 dicembre 2006 al 4 marzo 2007). Catalogo Synapsi edizioni.