La tomba del Gladiatore abbandonata tra rifiuti e calcinacci
Fernando Acitelli
Il Messaggero 19/8/2011
Il triste riposo del Gladiatore nella tomba dimenticata
Rifiuti, degrado, nessun segnale e il cancello sbarrato
In rovina il sito sulla Flaminia venuto alla luce solo tre anni fa
Il trionfo? Sì, delle macerie. La Tomba del gladiatore sulla Flaminia? Sì, con pulviscolo di eternit e ruggine. Il sito raggiunto grazie ad aggiornate mappe extraurbane: svincolo per la Rai di Saxa Rubra e poi ricognizione dall'alto, da dove via Maurizio Barendson è quasi una visione. Quindi discesa verso la campagna tra capannoni, stradette, vegetazione spontanea e l'indicazione d'un circolo sportivo con il ricamo d'una pista ciclabile. E finalmente l'avvistamento dell'area archeologica grazie anche ad una voce amica incontrata per strada: spettacolare l'assenza d'un solo cartello nei dintorni. La possibilità d'una giusta segnalazione già dalla consolare Flaminia? Come no! Cartelli stradali a più non posso, che uno rischia pure di confondersi vista la varietà di simboli: rete e tridente per il Reziario, gladio ed elmo per il Mirmillone, con sotto, magari, un epigramma di Marziale. Come no! E se il sogno s'impenna, ecco allora anche un'iscrizione con le parole dello storico sublime Theodor Mommsen ad attenderci sul margine destro della carreggiata, a sollevare le mani, felice d'averci avvistato, a comunicarci con quella sua esultanza che siamo giunti nel luogo sublime, alla Tomba del Gladiatore... o, più precisamente, al Mausoleo di Marco Nonio Macrino, generale sotto Antonino Pio e Marco Aurelio e proconsole in Asia. La Tomba del Gladiatore (« l'uomo che fermò i Marcomanni» secondo appunto Mommsen) in via Vitorchiano - oh, come m'è difficile indicare la strada d'un Mausoleo e non il sito archeologico... - non si può visitare. Nessuna possibilità di sfiorare il Passato, d'accarezzarlo. Niente. Cancello chiuso con catena e lucchetto, arrugginiti per bene ma ancora concreti nel loro essere. Osservandoli, viene da pensare che stonano terribilmente per un'area archeologica e che il loro posto sarebbe esatto per un capannone, di quelli ai margini del Raccordo anulare. L'area archeologica è dunque chiusa e dal cancello s'avvista in lontananza un prefabbricato, sede abituale per custodi sempre di corsa. Il citofono non conduce il suono a un destinatario, a un guardiano e dunque rimango là davanti senza possibilità di stabilire un contatto tra me e i frammenti. Pure, da segnalare, la cortesia di quanti, lì intorno, tra carrozzieri e uomini di buona volontà mi hanno indicato il modo per poter raggiungere quanto desideravo vedere. Se penso che come professione sulla Terra esiste anche quella di guardiano d'un Mausoleo e che questo custode non c'è, mi viene da riflettere, ancora una volta, alla mia fuga come medicazione. Potrei mettermi sulle tracce del custode? Con questa desolazione tutt'intorno, con questo caldo con ambizioni cartaginesi sarebbe l'inizio d'un romanzo. Alla fine, risulterebbe più difficile trovare il guardiano che non i resti del generale Marco Nonio Macrino. Chissà perché aveva scelto questa zona per il suo Mausoleo... Una domanda improponibile per molti; a ripetermela avvisto lo stupore del custode, dell'assessore, del sovrintendente, del consulente. Neppure una risposta lieve ascolterei dopo il degrado visto. Per osservare qualcosa e sentirmi accanto al generale, al «soffio vitale» anche di sua moglie Arria, e ipotizzare in lontananza i resti dell'iscrizione ritrovata, frammenti che tanto hanno svelato agli archeologi, ho dovuto abbandonare il luogo d'entrata e rasentare l'area percorrendo una pista ciclabile che gira attorno alla recinzione. Percorso quel segmento per una buona misura e avvistato un tronco d'albero sbilenco sotto il muro di cinta, mi sono arrampicato e ho potuto gettare lo sguardo all'interno dell'area e dunque su quanto resisteva di quelle scheggiature sotto il sole. A quel punto il tremore per quell'occlusione iniziale al cancello e per la mancanza di risposta a quella mia richiesta di aiuto si sono mutati in nausea per il tanto disinvolto divieto. Cosa c'era dall'alto! Quale spettacolo dal tronco esterno! Un trionfo di calcinacci, di ferro, di ruggine, di lamiere, di strutture rugginose come di controsoffitti; quindi materiali di risulta, mattoni, eternit dismesso, e poi, distanti, scheggiature classiche a più non posso tra i resti postmoderni del postmoderno fallimento del pensiero. L'antico basolato in lontananza - forse l'unica parte intatta - e quindi una solenne ammucchiata: resti di capitelli, di trabeazioni, di colonne con scanalature lese come feriti gravi. Da terapia intensiva. Ciò che è possibile nell'arte quasi mai riesce nella vita e allontanandomi, me lo sono costruito io, allora, interiormente, il Mausoleo di Marco Nonio Macrino. Che costui non sia citato nei Pensieri di Marco Aurelio non è certamente la «damnatio memoriae» di cui ho invece avuto la percezione inoltrandomi sulla consolare Flaminia, giungendo nell'area descritta. Quel generale sembra sia ancora più morto se è impossibile accedere al suo Mausoleo, visitarlo, raggruppare quei pensieri semplici che hanno a che fare con una sola parola, il Tutto, luogo dove sogniamo di ricongiungerci.