giovedì 6 marzo 2008

Carandini: le nostre origini sono ancora tutte da scavare

Carandini: le nostre origini sono ancora tutte da scavare
CLAUDIO MARINCOLA
Il Messaggero 07/02/2006

«Presenterò al sindaco e alla città il frutto di vent’anni di studio e di lavoro, la ricerca di migliaia di giovani, la mia scuola. È un offerta rivolta alla città ma anche allo Stato e alle rispettive Soprintendenze perché si rendano conto dell’importanza che rivestono queste scoperte. E delle altre che seguirebbero se soltanto si potesse scavare...».
Si può partire dalla fine, ovvero dalla necessità che la vanga continui a sollevare la terra calpestata dai nostri avi per raccontare lo stato d’animo di Andrea Carandini giunto ad un punto cruciale del suo percorso di studioso.
Per chi non lo sappia, Carandini, 67 anni, docente di Archeologia classica alla Sapienza, è il professore che dal 1985 cerca di estrarre dal Foro romano e dal Palatino una verità che ci riguarda tutti. Una verità che ha coltivato e perseguito scientificamente con l’obiettivo di aggiungere agli indizi contenuti in tanti testi scolastici la prova provata, la testimonianza inconfutabile che quando si parla di Romolo e Remo, non di leggenda si tratta, bensì di Storia, on la “S” maiuscola.
Carandini ha scavato sistematicamente per due decenni con in testa un disegno preciso: cogliere la strategia della fondazione di Roma di stratificazione in stratificazione.
In principio (1989) furono la Mura di Romolo (1989), originarie fortificazioni del Palatino a saltar fuori. Quindi fu la volta del Palazzo reale e del Tempio dei Penati. Ma a dare conferme, più di ogni altro, è stata l’ultima recente scoperta: il tracciato del santuario di Vesta, il luogo dove era custodito il focolare sacro della città, perennemente sorvegliato dalle vergini sacerdotesse. Da qui l’atto di fondazione, datato intorno alla metà dell’VIII secolo A.C, e la storicizzazione di Romolo e Remo, figli di Rea Silvia fecondata dal dio Marte. Un mito che presenta singolari analogie con le origini del cristianesimo.
È stato ripetuto altre volte: l’importanza di scavare non è trovare un coccio in più, una ceramica, magari raffinatissima, da conservare ed esporre nell’Antiquarium. Carandini spiega: «Scoprire le nostre origini vuol dire trovare il seme della nostra civiltà. Riportare alla luce il Tempio di Giove Statore, dove i romani prestavano giuramento, vuol dire raccontare la nascita del Diritto, capire cosa ha vertebrato la cultura europea, cosa ci rende diversi da altri luoghi del globo. Capire - continua il professore - il rapporto tra potere e politica nella costituzione romulea, dunque sin dai primi re, vuol dire cogliere il valore del diritto, un diritto garantito dalla divinità, come contrapposizione all’idea di un potere assoluto e dispotico».
La comunità scientifica è per sua natura cauta nell’accettare conclusioni di qualsiasi genere. E l’archeologia di Carandini, del resto, non si accontenta di verità intellettuali o di costruzioni pseudo-romanzesche. I suoi studi e i risultati delle indagini archeologiche si offrono come «prodotti di ricerca autentici», e, solo in questo senso, come apporto alla Storia. «Questa scuola e queste campagne di scavo hanno cambiato le cognizioni storiche - rivendica Carandini - dobbiamo continuare su questa strada, uscire dal tran tran. Sappiamo con certezza assoluta dove si trovano in questa città i monumenti nascosti, ma servono risorse per continuare le indagini. Sappiamo esattamente, ad esempio, dov’è all’Aventino il Tempio di Diana e stesso dicasi per il Tempio della Fortuna al Palatino».
A coronamento di un lungo percorso personale e professionale, Carandini ha scritto un libro, “Remo e Romolo”, che verrà presentato domani nella sala della Protomoteca in Campidoglio. Dove l’ordine di presentazione in copertina non è causale ma è un preciso riconoscimento alla primogenitura. Un forma di risarcimento tardivo al gemello che saltò il solco dalla parte sbagliata.