mercoledì 23 gennaio 2008

Sarcofaghi, busti e il cofanetto di Teodorico A Venezia si svela un altro volto dei Barbari

Corriere della Sera 23.1.08
La mostra Palazzo Grassi torna a esplorare le civiltà del passato
I tesori dei migranti che fecero l'Europa
Sarcofaghi, busti e il cofanetto di Teodorico A Venezia si svela un altro volto dei Barbari
di Paolo Conti

Un viaggio attraverso la mescolanza di culti e di tradizioni. Il curatore Aillagon: «L'esposizione vuole superare i luoghi comuni. E far riflettere sulla situazione odierna del nostro Continente»

Palazzo Grassi è certamente un punto di riferimento per l'arte contemporanea. Ma nello stesso tempo siamo tutti convinti che l'arte contemporanea abbia bisogno della storia, del passato, delle civiltà precedenti. Strumenti essenziali per comprendere il mondo che ci circonda». Monique Veaute, nuovo direttore e amministratore delegato di palazzo Grassi, debutta a Venezia senza il multicolore universo della straordinaria collezione contemporanea di François Pinault, presidente-padrone dell'istituzione culturale privata. Ovvero della carta da visita più nota al grande pubblico internazionale.
Stavolta la scommessa si chiama «Roma e i Barbari- La nascita di un nuovo mondo». Nella sua sobria solennità, il titolo rimanda alla tradizione di palazzo Grassi tracciata nella stagione Fiat: i Fenici, i Celti, gli Etruschi, i Faraoni che si alternavano a Balthus, Warhol, al Futurismo e a Picasso. Ancora Monique Veaute: «Il legame con quel retaggio è molto forte. E ciò dimostra come Pinault non abbia come interesse unico la propria collezione ma intenda seguire un discorso culturale più ampio e articolato».
Dunque, Roma e i Barbari. Il curatore della mostra Jean-Jacques Aillagon, ex direttore di palazzo Grassi e ora presidente della fondazione del castello di Versailles, ha detto giorni fa: «La nostra esposizione deve superare le due caricature». Ovvero le caricature semplificatrici di una nobile civiltà distrutta da un'orda di devastatori. C'è da raccontare, invece, come e perché proprio nel binomio Roma-Barbari affondino le radici dell'Europa. Con un rinvio all'oggi, alla cronaca più viva e spesso dolorosa della contemporaneità: la migrazione e la fusione etnica e culturale tra i popoli, un fenomeno (oggi come allora) fatto di forti e reciproche curiosità e di altrettanto forti ostilità. La mostra è già ricca sulla carta: mille anni di storia raccontata (la cronologia parte dalla sottomissione della Gallia da parte di Cesare tra il 58 e il 51 avanti Cristo e si conclude con l'incoronazione di Ottone I nel 962 quindi con la nascita del Sacro romano impero germanico) e 1.700 pezzi esposti provenienti da 24 Paesi, prestati da 200 tra musei ed esposizioni.
Scrive nell'introduzione Aillagon: «Il continente europeo troppo spesso celebra le radici greche, romane ed ebraico- cristiane dimenticando le proprie origini barbare peraltro così potenti e determinanti. La mostra invita a riflettere sulla situazione attuale dell'Europa, spazio politico e culturale che ha dominato il mondo o ha tentato di dominarlo, e che oggi si confronta con l'esigenza di imparare a convivere con un numero sempre più consistente di donne e uomini provenienti da altre parti del mondo».
Riecco il parallelo ieri-oggi. Così come Roma rappresentò un modello politico e di civiltà, anche nella vita quotidiana, oggi l'Europa incarna un riferimento universale di organizzazione e qualità della vita pubblica e privata. E così come i Barbari modificarono per sempre Roma con la loro cultura, anche oggi il fenomeno delle migrazioni sta regalando un volto definitivamente nuovo al Vecchio Continente: quello di una inedita ed eterogenea civiltà. L'arte può aiutarci a capire, scrive François Pinault: «Questo periodo complesso, segnato dall'incontro tra civiltà, dall'apertura, dalla mescolanza di culti e tradizioni, dalla diffusione delle conoscenze, dall'arricchimento reciproco e dalla diversità culturale, testimonia la forza senza tempo e universale dell'arte che trae origine nella notte dei tempi, prolungandosi nelle creazioni più contemporanee ». Tre i gioielli principali. Il sarcofago Ludovisi, prestato dal Museo nazionale romano di palazzo Altemps. Poi il busto di Marco Aurelio di Avenches (più di un chilo e mezzo d'oro a 22 carati): il suo immenso valore non sta solo nell'oro, si tratta di uno dei rari busti imperiali in metallo scampati alla fusione. E il Missorium d'argento (piatto d'Achille o piatto di Scipione) prestato dalla Bibliothèque Nationale de France e pesante più di dieci chilogrammi. È uno dei pezzi di argenteria antica di dimensioni maggiori arrivati fino a noi: ritrovato nel Rodano nel 1656, fu donato a Luigi XIV per il suo gabinetto delle Antichità. Ma bisogna citare anche il cofanetto di Teodorico che per la prima volta in 1400 anni lascerà l'abbazia di Saint-Maurice in Svizzera per raggiungere Venezia.
Altri arrivi sono considerati patrimoni nazionali nei Paesi che li prestano: per esempio il tesoro di Beja in Portogallo, l'evangelario di Notger in Belgio, il tesoro di Childerico conservato alla Biblioteca nazionale francese di Parigi. E, visto che una mostra aumenta di valore nel momento in cui presenta inediti e materiali nuovi, si segnalano debutti in un contesto espositivo di recenti scoperte: è il caso del tesoro della tomba della dama di Grez-Doiceau di Namur. Dopo Roma e i Barbari, palazzo Grassi pensa al progetto di punta della Dogana, del nuovo-antico spazio espositivo conquistato da Pinault. Lì si farà il punto su altre contaminazioni culturali. Quelle che concimano le idee del Terzo millennio e insieme attivano uno dei mercati più ricchi e intriganti della globalizzazione. Ovvero l'arte contemporanea.