lunedì 28 luglio 2008

Senzatetto vive in una cisterna romana e razzia vasi, anfore e monete antiche

ROMA - Senzatetto vive in una cisterna romana e razzia vasi, anfore e monete antiche
LUNEDÌ, 28 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina II - Roma

Arrestato dai carabinieri. Aveva ferito un nordafricano

Ha accoltellato un algerino a una gamba e poi è scappato, nascondendosi nel parco della Caffarella. I carabinieri della stazione Roma San Sebastiano, avvertiti da un passante, si sono recati sul posto e lo hanno trovato all´interno di una cisterna romana. E qui la sorpresa: se per la ferita alla gamba per la quale l´algerino ha avuto una prognosi di 10 giorni non è scattato l´arresto, il pregiudicato italiano di 49 anni, Renato Diodati, si è visto aggravare la denuncia piede libero per lesioni personali aggravate, con la violazione in materia di ricerche archeologiche e la ricettazione. In quella sua casa improvvisata, infatti, oltre al coltello usato per l´aggressione, sono stati trovati decine di reperti archeologici - vasi, anfore, monete e frammenti - ora al vaglio di quella sezione dell´arma che si occupa di Tutela del Patrimonio Culturale, che stabilirà se si tratta, come sembra, di vasellame di epoca romana.

Lipari si spacca sul nuovo porto "Danneggerebbe le rovine romane"

Lipari si spacca sul nuovo porto "Danneggerebbe le rovine romane"
LUNEDÌ, 28 LUGLIO 2008 la repubblica Pagina 15 - Cronaca

L´opposizione per fermarlo chiede l´intervento del governo

LIPARI - Scontro a Lipari tra chi - amministratori di centrodestra - è favorevole al progetto di un porto turistico privato e chi è contrario. Il porto serrerebbe il fronte dell´isola in una colata di cemento fino a 4 metri mettendo a rischio le rovine di un complesso portuale romano-imperiale scoperto a 6 metri di profondità. «Una scoperta - dice il professore Sebastiano Tusa, responsabile della Sovrintendenza del mare - straordinaria che non può essere sacrificata». L´opposizione s´appella al ministero Beni culturali.
(l. bar.)

domenica 27 luglio 2008

NAPOLI - I tesori che hanno fermato i cantieri: l´antico porto della città e una necropoli

NAPOLI - I tesori che hanno fermato i cantieri: l´antico porto della città e una necropoli
STELLA CERVASIO
DOMENICA, 27 LUGLIO 2008 la Repubblica - Napoli

Da piazza Municipio a piazza Nicola Amore: reperti e scoperte del sottosuolo

Il primo reperto è virtuale, ma un´indicazione di importanza capitale per la cartografia antica della città. La linea di costa nel II secolo d. C.: il mare entrava fin dentro un cratere prossimo a Castel Nuovo. Ma i reperti ci sono eccome: due barche di dieci metri ciascuna, "navette" tra le navi da carico ferme in rada e i moli del porto di Neapolis. E una terza, la più grande, da 13 metri e mezzo per oltre tre metri, chiglia larga e prua piatta: si rivelerà un unicum nell´archeologia dell´antica Roma.
Un giorno di tramontana gelata dell´inverno 2003-2004 la grande buca di piazza Municipio viene aperta per mostrare alla stampa internazionale l´antico porto della città e i primi resti di un´altra civiltà venuti alla luce con gli scavi della metropolitana. Una barca, poi, a gennaio, l´altra. Lo scenario del porto che appare agli occhi dei giornalisti e dei primi studiosi è perfetto come una ricostruzione: nell´area fangosa i resti di anni di trasporti prima dell´abbandono dell´approdo caduto in disuso con il mare che nei secoli successivi si è ritirato e l´interramento della baia. Ci sono anfore alcune ancora con i loro tappi di sughero, ceramiche, gioielli, suole di calzari, pezzi di corda. Cose senza importanza, paragonate alla Venere di Milo? Non si ragiona così, in archeologia. La veduta d´insieme è formata dai dettagli, da un´analisi che potrebbero fare gli archeologi come gli scienziati dei telefilm di "Csi": la ricostruzione storica è fatta anche grazie alle tacche sui paletti, che provano il mare fin dove arrivava, e altre sottigliezze che non tutti possono capire o trovare interessanti. Ma che sono utili alla storia.
Nell´altro cantiere dove si prevedevano ritrovamenti, in piazza Nicola Amore, emerge quello che, dal pavimento, doveva essere un edificio pubblico di età augustea, un tempio interno a un complesso sportivo, ed anche una fontana in marmo medioevale, che risale al XIII secolo, con graffiti raffiguranti barche dirette verso un castello. E c´è anche una necropoli con un´anfora funeraria che contiene lo scheletro di un bambino: sepoltura "a enchytrismos", presa in prestito dai greci. È il "palinsesto di Napoli": non c´entrano niente i programmi tv, palinsesto è stratificazione di epoche, roba fondamentale per capire come stavamo messi un migliaio di anni fa. Ora si lamenta lentezza nel procedere dei lavori, ma all´epoca delle scoperte il ministro per i Beni e le Attività culturali Giuliano Urbani (Forza Italia) assicurò l´intervento del governo Berlusconi per il completamento dei lavori di scavo, mentre il Comune concesse subito in comodato d´uso gratuito alla Soprintendenza per i beni archeologici una parte dei suoi depositi a Piscinola per contenere i reperti e climatizzare le barche con tecnologie avanzate. A febbraio 2004 nel cantiere di piazza Nicola Amore una nuova sorpresa dal passato: una testa che raffigura un personaggio di spicco della gens Giulio-Claudia.
A maggio ancora due capitelli del tempio di piazza Nicola Amore: parti di colonne del tempio e un doccione, canale di scarico di una grondaia di solito decorato con figure fantastiche o teste di animali. A giugno 2006 tocca a piazza Municipio rivelare Castel Nuovo in un contesto diverso dal solito ma molto simile a quello che mostrava la quattrocentesca Tavola Strozzi, veduta della città dal mare. Mura merlate, resti di case, abitazioni di principi angioini verso via Medina, con raffinate pitture murarie. Sarà sacrificato in gran parte, questo pezzo di una città sconosciuta ma bellissima - come ha detto l´archeologo ora direttore generale per l´Archeologia al ministero per i Beni culturali Stefano De Caro, che degli scavi per la metropolitana sa tutto l´iter - un iter che ha attraversato le sue due soprintendenze, quella napoletana e quella regionale. Messo in salvo, tuttavia, dal lavoro di documentazione senza il quale si sarebbe perso un pezzo importante di storia di Napoli.

sabato 26 luglio 2008

"Così abbiamo scavato al Gianicolo"

ROMA - "Così abbiamo scavato al Gianicolo". Parla il soprintendente Bottini: "Niente scempi, solo tutela"
CARLO ALBERTO BUCCI
VENERDÌ, 25 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA - Roma

"Inaccettabile è stata la rimozione di una parte della Domus per far passare la rampa"

Due cantieri distinti sebbene si trovino nella stessa proprietà dei Torlonia

«Qualcosa di inaccettabile sul Gianicolo è avvenuto. E risale al 1999, quando fu autorizzato lo smontaggio e la rimozione di una parte della domus appena ritrovata per far passare la rampa Torlonia. Ma se per ‘scempio´ ci si riferisce ai lavori di scavo che abbiamo iniziato nel 2005 e ora sospeso, allora dico che si tratta di una provocazione nei confronti dell´amministrazione dello Stato che fa il suo lavoro di tutela». Il soprintendente Angelo Bottini risponde alle critiche che il suo predecessore, Adriano La Regina, ha lanciato mercoledì su queste pagine.
La Società Sant´Onofrio preme perché si facciano al più presto i sondaggi per il parcheggio sul terreno dei Torlonia?
«Si tratta di due scavi nettamente distinti, sebbene nella stessa proprietà. C´è quello della villa del secondo secolo dopo Cristo, che abbiamo interrotto perché stanno per finire i fondi. E ci sono i sondaggi, pagati interamente dalla Sant´Onofrio, che stabiliranno se si potrà o meno fare un parcheggio sotterraneo che serva al loro albergo».
Lo scavo della domus costruita sugli antichi Horti di Agrippina è previsto dal decreto del 13 dicembre ‘99, dell´allora presidente del Consiglio D´Alema, nel momento in cui dava il via ai lavori per la rampa bloccati da La Regina. Ma i resti della villa non sono stati evidenziati del tutto. Perché?
«I 2 milioni e mezzo circa che riuscimmo a farci dare dopo numerose lettere nel 2003 - interviene l´archeologa Fedora Filippi, da quell´anno delegata a seguire lo scavo - vengono dai residui degli stanziamenti per il Giubileo. Da allora abbiamo spostato 9000 metri cubi di terra. E riempito 880 cassette di reperti, cui si aggiungono le 600 del ‘99, più 500 colme di frammenti di affreschi romani, anche più antichi, gettati sulla domus quando l´area divenne una discarica. Ora però inizia la fase di studio e di restauro che ci permetterà di tutelare il bene e di stabilire i termini di un vincolo archeologico che si affiancherà a quello paesaggistico già esistente».
Però coprite i ritrovamenti.
«Abbiamo messo in sicurezza i resti, che non potevano rimanere all´aperto, e l´abbiamo fatto secondo gli standard di protezione: tamponatura delle pareti, tessuto non tessuto e pozzolana. Tutto reversibile, in attesa che arrivino finanziamenti ad hoc per proseguire scavi che, al momento, non sono indispensabili».
E la musealizzazione o il ripristino di cui parla il decreto D´Alema?
«Abbattere la rampa per ricostruire la villa lì? E´ illogico e nessuno lo vuole. Si può pensare di ricostruirla altrove, come è stato fatto in Egitto, ad Abu Simbel. Ma è un´operazione tutta da studiare, un´ipotesi remota».
E il progetto di otto anni fa per realizzare paratie che permettessero di avanzare verso via del Gianicolo le ricerche della domus affrescata?
«Le paratie sono palizzate in cemento armato, una struttura, questa sì, irreversibile, che permetterebbe peraltro di scoprire sotto la scarpata solo altri cinque-sei metri di muro coperto. Vale la pena? La proprietà ci aveva peraltro proposto di pagare le paratie per i nostri scavi e in un´area, lo ripeto, non interessata dal loro parcheggio».
Perché non avete accettato?
«Poteva creare l´aspettativa di un nostro obbligo implicito nei loro confronti, in vista dei sondaggi per il parcheggio dell´albergo».
Che partiranno a fine estate, con quali aspettative?
«Ci hanno mostrato i carotaggi e le indagini diagnostiche non invasive. Ma finché non scaviamo non possiamo essere certi che sotto le montagne di detriti antichi non ci siano resti di edifici di eccezionale o particolare rilievo. E varrà allora quanto sottoscritto il 21 aprile scorso dai proprietari. Leggo: ‘Ove non si potesse realizzare il parcheggio, la società Sant´Onofrio rimane comunque obbligata a ripristinare lo stato originario dei luoghi».

Ritorno al futuro nel mito dei Campi Flegrei

CAMPANIA - Ritorno al futuro nel mito dei Campi Flegrei
Carlo Avvisati
25/07/2008 IL MATTINO

La regola imponeva che le dame puteolane di 2000 anni fa occupassero posti separati da quelli dell’altro sesso allorché si recavano all’anfiteatro cittadino - il cosiddetto anfiteatro Maggiore - per assistere agli spettacoli che periodicamente vi si tenevano. Ora il «Re-tour» dei Campi Flegrei apre appunto offrendo la possibilità di visitare quello che dopo il Colosseo di Roma e l’altro di Capua era il terzo anfiteatro d’Italia per grandezza e capienza. Un percorso di ritorno nella storia e nel mito di quell’area che nel Settecento era tra le tappe fondamentali del Grand Tour, il viaggio che nobili e letterati di tutta Europa faceva lungo l’intera penisola italiana. Ad accompagnare i viaggiatori del XXI secolo sarà un Virgilio moderno e tecnologico che attraverso le cuffie dei rossi bus di «Citysightseeing» presenterà, nella madrelingua del turista, l’itinerario, che parte da largo Castello. Il percorso, difatti, non prevede solo archeologia classica, ma anche moderna: dall’alto della discesa di Coroglio si vedono i resti dell’altoforno dell’Ilva, la ferriera di Bagnoli, e il lungo pontile di carico e scarico che per quasi ottocento metri si incunea nel mare. Poi, c’è Città della Scienza. Più lontano si vede Miseno e il suo porto, la dov’era acquartierata la flotta più importante di Roma, la Classis misenensis, quella che doveva proteggere l’impero dalle insidie dei pirati e dei nemici africani. Poi arriva l’anfiteatro di Pozzuoli, appunto. Accanto all’edificio «perfettamente conservato», come sottolinea Costanza Gialanella, l’archeologa responsabile del territorio, e in cui si mostrano i meccanismi per tirare su le scene e le gabbie con le belve, c’è la possibilità di vedere la Solfatara e le sue fumarole, ovvero quello che la mitologia degli antichi considerava l’ingresso agli inferi; quindi, la Basilica di San Gennaro, il Tempio dedicato a Serapide, il Serapeo e il Rione Terra. Questo primo itinerario, nato con un progetto finanziato da Ue con Piano operativo regionale (Por) e promosso dall’assessorato regionale al Turismo e ai Beni culturali della Regione assieme all’Ente Parco, ai comuni dell’area Flegrea e alla Soprintendenza speciale ai beni archeologici Napoli-Pompei, sarà arricchito nei prossimi mesi da altre tappe: a settembre aprono sia il Foro transitorio della Puteoli romana sia lo stadio di Antonino Pio. Il monumento, venne costruito nell’area del grande complesso residenziale suburbano appartenuto a Cicerone, nel cui mausoleo venne appunto tumulato Adriano, morto a Baia nel 138 dopo Cristo, prima del suo trasferimento a Roma. Per onorarne la memoria, l’imperatore e figlio adottivo Antonino Pio costruì lo Stadio di Puteoli. Ancora, la Villa di Livia, uno straordinario modo di fare cultura: sui resti di una villa romana, completamente protetti e restaurati, è nato un ristorante più unico che raro. Le visite sono previste solo il venerdì e il sabato, dalle 10 in poi, da oggi fino al 20 settembre. Il costo, che non include il biglietto per i siti, è di dieci euro. Due gli itinerari possibili. Il primo prevede appunto l’area puteolana; il secondo da la possibilità di vedere il territorio di Cuma. Dal 20 settembre, poi, si aggiungeranno anche il percorso nell’area del Lago d’Averno, «discesa agli inferi», nel cratere di Monte Nuovo, e la visita al Castello di Baia e al suo Museo archeologico.

"Aventino, Sos per il sottosuolo" L´assessore Ghera: in autunno partono i lavori

ROMA - "Aventino, Sos per il sottosuolo" L´assessore Ghera: in autunno partono i lavori
LAURA MARI
SABATO, 26 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina VI - Roma

Da 20 anni chiusa via San Giosef per pericolo di cedimenti E da lunedì lavori in via Marmorata

In superficie il manto stradale. Sotto, un dedalo di cavità di tufo che rischia di provocare il cedimento di alcune vie dell´Aventino. Come avvenne nel 1988, quando una macchina sprofondò per 15 metri transitando su via San Giosef, che da quel momento è rimasta chiusa al traffico. Una situazione immutata per oltre vent´anni e che ora il Campidoglio intende sanare con un intervento di consolidamento che metta in sicurezza le strade dell´Aventino. Un progetto che, però, al momento manca di fondi e tempi certi.
«Ci impegniamo ad avviare entro l´autunno i sondaggi non solo in via San Giosef e via Marcella, ma anche in tutte le altre strade dell´Aventino - ha annunciato l´assessore capitolino ai Lavori Pubblici Fabrizio Ghera - e cercheremo di trovare i fondi nel bilancio per effettuare al più presto i lavori di consolidamento».
Promesse che intendono rassicurare i residenti del quartiere, ma che in realtà si scontrano con la difficile situazione finanziaria del Campidoglio. «Per un intervento del genere - anticipa Dino Gasperini, delegato per il sindaco al Centro storico - occorrono non meno di due milioni di euro, anche perché sotto il manto stradale sorgono resti archeologici importanti, come la Fonte di Fauno, il Mitreo di Santa Prisca e il Tempio di Diana. Reperti archeologici che meritano di essere tutelati e valorizzati».
Non appena dunque saranno reperiti i fondi necessari, il Campidoglio inizierà a mettere in sicurezza l´area di circa 250 metri che si estende da piazza Santa Prisca e piazza Albina. «In sostanza - conclude con un´immagine forse poco poetica il presidente della commissione Cultura Fabio Mollicone - questa zona dell´Aventino è come una crema catalana, con un sottosuolo fatto di cave di tufo e una superficie più dura che rischia di sprofondare alla minima vibrazione».
Preoccupazioni condivise anche dal presidente del I Municipio Orlando Corsetti, che polemizza con gli amministratori capitolini e rivendica la paternità dei futuri interventi di consolidamento. «Il 23 luglio - precisa il minisindaco - ho inoltrato all´assessore Ghera la mia richiesta di intervento relativa ai numerosi fenomeni di smottamento e dissesto stradale che interessano il rione Aventino. Ringrazio l´assessore - ironizza Corsetti - per aver accolto così tempestivamente la mia richiesta, ma avrei gradito se mi avesse invitato al sopralluogo fatto questa mattina (ieri ndr) con i giornalisti».
E in attesa che arrivino i finanziamenti per l´avvio dei sondaggi archeologici, lunedì inizieranno i lavori di riqualificazione di via Marmorata, nel tratto compreso tra largo Gelsomini e piazza dell´Emporio. I cantieri dureranno sei mesi e l´intervento, affidato ad Atac, avrà un costo di 2,5 milioni di euro. Durante i lavori, che prevederanno l´ampliamento dei marciapiedi e la realizzazione, per il tram, di nuovi binari antivibrazioni, verrà consentito il doppio senso di marcia su via Marmorata, il che dovrebbe creare meno disagi per gli automobilisti.

mercoledì 23 luglio 2008

Troppi errori intorno a quegli scavi lo scempio infinito del Gianicolo

ROMA - Troppi errori intorno a quegli scavi lo scempio infinito del Gianicolo
ADRIANO LA REGINA
la Repubblica (Roma) 23/07/2008

Il destino dell´edificio con pareti dipinte rinvenuto nell´anno 1999 nel luogo occupato in antico dagli horti di Agrippina, alle pendici del Gianicolo, sembra ora compiersi con l´interruzione degli scavi recentemente ripresi e con lo sbrigativo interramento dell´area solo parzialmente indagata. Tutto questo avviene forse per non arrecare ulteriori ritardi, dopo anni di inerzia della pubblica amministrazione e soprattutto del Provveditorato alle opere pubbliche, alla realizzazione di un parcheggio privato? O avviene piuttosto per seppellire definitivamente nell´oblio la spinosa vicenda del parcheggio sotterraneo sul Gianicolo? Difficile a dirsi; certo è che dell´intera questione non sono mai emersi i risvolti più delicati, riguardanti i rapporti del Comune di Roma con taluni ambienti vaticani, com´è d´altronde certo che alcune iniziative distolsero allora l´attenzione dalle gravi interferenze esercitate da più parti (Comune di Roma, Ministeri, uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri) sulla Soprintendenza archeologica in occasione dei lavori per la costruzione della rampa gianicolense: propalazione di notizie false finite sulla stampa di tutto il mondo, come quella di scavi eseguiti frettolosamente con la perdita di materiali archeologici; azioni giudiziarie improvvisate e trascinate all´infinito, risultate poi del tutto infondate, intese a dimostrare che gli archeologi avevano voluto favorire indebitamente l´attuazione di progetti pubblici e privati.
La tutela del patrimonio storico e artistico è contemplata tra i principi fondamentali della Costituzione italiana. Questo principio, naturalmente, è stato tenuto in buona considerazione anche dal Consiglio dei Ministri che, con un decreto emanato 13 dicembre 1999 a firma del Presidente D´Alema in osservanza a obblighi contratti con la Santa Sede, autorizzava la costruzione di una rampa per il collegamento stradale con il parcheggio. Con il decreto si disponeva nel contempo il distacco degli affreschi allora rinvenuti e, con complessa e dispendiosa procedura tecnica, anche lo smontaggio e la conservazione delle murature su cui essi erano applicati. Ciò in previsione di un eventuale ripristino delle strutture al fine di garantire l´unitarietà del complesso nel caso in cui il completamento delle indagini archeologiche, parimenti stabilito con lo stesso provvedimento, avesse dato luogo a rinvenimenti di eccezionale rilievo. Anche se non fosse stato necessario giungere a tanto, il decreto prevedeva che per rinvenimenti di particolare rilievo dovranno essere adottate soluzioni idonee a garantire la loro conservazione, valorizzazione e fruibilità.
A questo purtroppo non si sta provvedendo, in primo luogo perché le indagini non sono state completate come esplicitamente prescritto, e poi perché l´interramento dei resti non ne consentirà in alcun modo la valorizzazione né la fruibilità. Sembra infatti che verranno disattese le disposizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri, stando alle dichiarazioni della Soprintendenza la quale sostiene che è meglio, per ora, coprire e proteggere i ritrovamenti più recenti per spostare indagine e fondi altrove. Naturalmente, per poter agire così è stato anche necessario sostenere che non si può parlare di un rinvenimento di eccezionale rilievo. Singolare affermazione nei confronti di un monumento che nove anni fa tenne desta l´attenzione internazionale sulla sua sorte, e di cui ebbe ad occuparsi persino il Consiglio dei Ministri! I dipinti parietali dell´edificio sono stati inoltre esposti in una mostra sul fasto dell´antica Roma, insieme con le raffinate e più antiche decorazioni architettoniche di marmi policromi ivi rinvenute.
In realtà, se non si può parlare, almeno per ora, di eccezionale rilievo, visto che lo scavo non è stato completato, non si può neanche sostenere che non sussistano i requisiti per riconoscere il particolare rilievo dei rinvenimenti, volendo stare alla sottile distinzione del decreto. Il monumento rientra comunque a buon diritto nella categoria dei beni allora riconosciuti, secondo l´abituale definizione giuridica, di notevole interesse archeologico. Le recenti indagini sono state condotte in maniera tale da dare l´impressione che a bella posta si sia voluto evitare lo scoprimento di tutto l´edificio. Il progetto originario studiato, e finanziato dopo lunghe insistenze, in modo da poter mettere in luce in condizioni di piena sicurezza l´intera superficie del monumento, è stato totalmente stravolto. Non sono state eseguite le opere allora previste per la sicurezza, rendendo così disponibile per lo scavo uno spazio assai ristretto e lasciando invece inaccessibili gli ambienti che si trovano sulla fronte dell´edificio. Com´è stato possibile esaurire in questo modo i fondi messi a disposizione? In effetti, se vi è l´intenzione di spostare indagini e fondi altrove, i fondi stessi non dovrebbero essere esauriti: allora perché non dare piena attuazione al progetto originario? Le disposizioni contenute nel decreto rendono comunque obbligatorio il finanziamento delle ricerche fino al loro completamento.
Appare abbastanza singolare l´intento di non scavare. A far modificare i criteri già previsti è stato forse il timore che i nuovi lavori potessero rivelare che si era commesso un grave errore quando si vollero a tutti i costi rimuovere le strutture antiche per non modificare il progetto della rampa, secondo quanto pressantemente richiesto da parte di ambienti vaticani? Per dare una risposta a tale quesito sarebbe quindi necessario riesaminare l´intera vicenda del parcheggio sotterraneo.
Basti tuttavia accennare solamente ad uno degli aspetti più abnormi: nel 1997 il Comune di Roma e il Provveditorato alle opere pubbliche approvavano, senza tenere conto di un parere contrario già espresso dalla Soprintendenza archeologica, il progetto del parcheggio del Gianicolo, finanziato con 40 miliardi di lire dallo Stato italiano a beneficio della Congregazione de Propaganda Fide. Si era sostenuto, in documenti dello Stato italiano e del Comune, che l´area interessata si trovasse nello Stato Vaticano, oppure su area dello Stato Città del Vaticano, ovvero in territorio vaticano. Parimenti, nel verbale di una conferenza di servizi tenuta presso l´ufficio del Commissario straordinario del Governo per il Giubileo, ancora nel 1999 si affermava che il parcheggio del Gianicolo era in territorio vaticano. Il parcheggio è in realtà ubicato in un´area di proprietà della Santa Sede in territorio italiano. Resta pertanto inammissibile il danno recato al patrimonio monumentale con lo sfondamento del Bastione di Santo Spirito, progettato da Antonio da Sangallo il Giovane, per costruire le due gallerie di accesso al garage sotterraneo. In quel tratto le mura vaticane non delimitano il territorio dello Stato vaticano, ma si trovano su suolo italiano. Il danneggiamento di beni d´interesse storico e artistico appartenenti all´Italia, ancorché di proprietà della Santa Sede, non è considerato ammissibile da alcuna norma o trattato internazionale. La questione della rampa d´accesso al parcheggio, e dell´edificio antico di cui ora si intendono sospendere le ricerche, è soltanto un tassello minore nella vicenda mai del tutto chiarita del parcheggio gianicolense.

martedì 22 luglio 2008

Così sventrarono il cuore di Roma

ROMA - Così sventrarono il cuore di Roma
CARLO ALBERTO BUCCI
la Repubblica (Roma) 22/07/2008

Centoquaranta opere raccontano il rettifilo che è diventato un segno indelebile nella città antica. I sottopassi tra le antiche piazze e i progetti per dopo la metro C.
Frutto di sventramenti drammatici. Ma anche di scoperte esaltanti, rimaste per troppo tempo al buio. È via dei Fori imperiali cui è dedicata la mostra che, tra struggenti bianco e nero, accese vedute mafaiane e trenta sculture antiche dagli anni Trenta nei depositi comunali, si apre domani ai Capitolini. Centoquaranta pezzi (64 le foto d´epoca), a raccontare il rettifilo che ha lasciato un segno nel paesaggio di Roma. Indelebile, nonostante siano stati in molti a chiederne l´eliminazione, per tornare all´antico tessuto urbano e/o per eseguire come si deve gli scavi archeologici.
Le carreggiate della parata del 2 giugno - che dovrebbero essere liberate dal traffico quotidiano quando in futuro la Metro C correrà finalmente lì sotto - sono la testimonianza di un´urbanistica novecentesca che precede anche quella fascista. Ma gli scavi non sono finiti, vanno avanti dal 1996 intorno alla lingua d´asfalto delle parate militari. E anche dentro al terrapieno che la sostiene per far sì - secondo un progetto ancora da definire - che i turisti possano andare più facilmente dal Foro di Traiano a quello di Cesare, a da Nerva e ad Augusto: «Il tracciato va mantenuto, è storia. Ma va aumentata la sua permeabilità. E dentro i tunnel esistenti si possono collocare i servizi», spiega il direttore regionale Beni culturali, Luciano Marchetti, che ha fatto parte del tavolo Stato-Comune sull´area centrale, decaduto con la fine del governo Prodi. Intorno alla strada vincolata, nel 2006 Massimiliano Fuksas ha prospettato una serie di passerelle leggere, rilanciando il dibattito tra gli architetti sulla risistemazione e fruizione dell´area.
Vanno avanti anche le ricerche d´archivio degli studiosi. Per rimettere insieme il puzzle dei reperti ritrovati che, a migliaia, si trovano nelle antiche tabernae e nei giganteschi magazzini posti proprio sotto la strada della discordia. Per riportare ogni frammento nel suo Foro di provenienza, sono utilissime le 7000 foto (dei vari Faraglia, D´Amico, Calderisi, Reale) conservate al Museo di Roma e documentate da un libro di 500 pagine (Electa, 2007). Servono a ridare un profilo storico oggettivo, non ideologizzato, all´impresa di "via dei Monti". Già, perché gli 850 metri della strada che il Regime ribattezzerà "via dell´Impero" «nacquero secondo un progetto di scavo realizzato nel 1911 dall´archeologo Corrado Ricci e senza il quale la nostra capacità di apprezzare l´architettura dei Fori imperiali sarebbe diversa», spiega Claudio Parisi Presicce, direttore dei capitolini e tra i curatori della mostra (L´invenzione dei Fori imperiali. Demolizioni e scavi: 1924-1940, fino al 23 novembre; catalogo Palombi, info 060608; www. museicapitolini.org; una galleria delle immagini è su http://roma.repubblica.it)).
Promossa dall´assessorato alla Cultura e dalla Sovrintendenza comunale, l´esposizione propone anche alcune curiosità. Le vedute, programmaticamente in stile "Roma sparita", realizzate negli anni Trenta, tra gli altri, da Michele Cascella. E un tesoro di medaglie nascoste dall´antiquario Francesco Martinetti (morto nel 1895) nella sua casa via di via Alessandrina 101. Il tesoretto murato (oggi nel Medagliere Capitolino) venne scoperto durante le demolizioni del 22 febbraio 1933. E quel giorno sulla ruota di Roma erano usciti i numeri 74, 62, 24. Secondo la Smorfia, "monete", "anelli d´oro" e "muratore".

Pozzuoli mette in mostra le sue meraviglie

CAMPANIA - Pozzuoli mette in mostra le sue meraviglie
STELLA CERVASIO
la Repubblica (Napoli) 22/07/2008

Più che un tour, un Re-tour. Il nuovo percorso che porterà turisti e viaggiatori attraverso la storia e l´archeologia dei Campi Flegrei ha fatto un giro di prova ieri con la stampa a bordo del bus a due piani Citysightseeing, che cura l´iniziativa collaborando con l´assessorato regionale al Turismo. L´archeologa Costanza Gialanella ha presentato il Museo dell´Opera dell´anfiteatro flavio, lo stadio di Pozzuoli e la villa di Livia, un singolare esempio di restauro per uso non museale di un sito su suolo privato.
Questi luoghi erano meta del Grand Tour si è cercato di ricreare un viaggio alle radici della cultura occidentale
L´imperatore Adriano era stato sepolto nello stadio di Pozzuoli Antonino Pio gli aveva dedicato dei giochi poi fu portato a Roma
Si è pensato di chiamarlo Re-tour Campi Flegrei, per ricordare che anche Goethe venne da queste parti e quando andò via sapeva qualcosa di più sull´antichità, sul paesaggio, sulla bellezza. Il tempo e la mano dell´uomo sono stati impietosi con i Campi Flegrei, ma si tenta la riscossa. Pozzuoli si riprende il suo posto al fianco di Roma, grazie a molti scavi archeologici e lavori di riqualificazione. I litorali riacquistano dignità. Bagnoli è ancora una ispida distesa ormai svuotata dell´Ilva, ma c´è il pontile, una immensa "prua" in mare, da cui si vede un´angolazione diversa del golfo. Tutto questo e molto altro si potrà vedere con la guida sonora di un "Virgilio" e un archeologo nel percorso di "Re-tour Campi Flegrei, un lento viaggiare tra mito, storia e cultura", ogni fine settimana a bordo degli alti bus di Citysightseeing: «Un tentativo di ri-creare un viaggio alle radici della cultura occidentale», spiega il presidente del Parco dei Campi Flegrei architetto Francesco Escalona.
Re-tour è un progetto cofinanziato dall´Unione europea con il Por Campania 2000-2006, promosso dall´assessorato al Turismo e Beni culturali della Regione con la soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Napoli e Pompei, la Provincia, l´Ente Parco e i Comuni dell´area, la realizza Scabec con il consorzio Pegaso. Le visite partono questo venerdì, e fino al 20 settembre saranno ogni venerdì e sabato con due diversi itinerari: 1 Puteoli e 2 Cuma. Dal 20 settembre al 16 novembre si aggiungeranno: 3 Discesa agli Inferi e 4 Baiae. Il biglietto costa 10 euro e non include l´ingresso ai siti (info e prenotazioni 081 19305780, le partenze da Capo Posillipo sono alle 10.30; 13.30 e 16.30. I collegamenti da Napoli largo Castello a Capo Posillipo alle 9.45, 12.30 e 15.30; ciascuno può costruirsi il proprio itinerario con fermate ai monumenti, riprendendo il prossimo bus dopo la visita).
L´itinerario Puteoli prevede fermate alla Solfatara, Basilica di San Gennaro, Anfiteatro Flavio, Rione Terra, Tempio di Serapide e da settembre al Foro Transitorio e allo Stadio di Antonino Pio. Quest´ultimo, che sarà inaugurato il 29 settembre dopo una campagna di scavo durata tre anni, è stato mostrato ieri in anteprima da Costanza Gialanella, direttore archeologo alla soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta e responsabile degli uffici di Pozzuoli (competente anche su Quarto, Procida e Vivara) e Ischia. Pozzuoli aveva il suo stadio (è in via Campi Flegrei, vicino al Tivoli Café) e ce n´erano solo altri due nelle provincie dell´impero, a Napoli e a Marsiglia e quello di Roma è sotto piazza Navona, invisibile. L´imperatore l´aveva costruito per tenerci gli Eusebeia, i giochi in onore del padre adottivo Adriano, morto a Baia nel 138 e sepolto proprio qui, prima di essere traslato dov´è Castel Sant´Angelo a Roma.
Gli scavi diretti dalla Gialanella non finiscono di scoprire novità: «Vicino alla stazione della metropolitana di Pozzuoli (Parco Bognar) abbiamo trovato resti di un pavimento a mosaico di sei metri per quattro raffigurante due coppie di lottatori del II secolo dopo Cristo con i nomi. C´è anche quell´Alexander che compare nei reperti di Ostia: un Maradona dell´antichità». Una novità anche nella visita all´anfiteatro Flavio: si visitano anche i sotterranei della càvea, da dove arrivavano belve e scenografie, nei suggestivi ambienti è stato allestito un Museo dell´Opera dell´anfiteatro, dove è ricostruito anche un posto con decorazioni marmoree e numerazione originale. A due passi dalla Olivetti c´è uno dei rarissimi esempi in Italia di recupero di villa storica in area di proprietà di privati con utilizzo non museale. La Villa di Livia occupa un posto sicuramente di riguardo nella mappa della Beverly Hills dei potenti romani che villeggiavano nei Campi Flegrei. I proprietari l´hanno fatta restaurare a spese loro e ora la usano come spazio convegni.

lunedì 21 luglio 2008

Colonna romana di 200 chili scoperta nel Parco dei Castelli

LAZIO - Colonna romana di 200 chili scoperta nel Parco dei Castelli
Emanuele Romaggioli
Il Tempo 21/07/2008

NEMI Nuova scoperta archeologica al lago di Nemi. Il Parco dei Castelli ha recuperato una colonna romana di peperino dal diametro di oltre 30 centimetri. Ad effettuare il rinvenimento sono stati i guardaparco nel corso della consueta attività di controllo.
Dopo l`avvistamento del reperto, il personale ha informato la Soprintendenza, che ha dato l`autorizzazione alla rimozione della colonna, nascosta sotto un groviglio di rovi lungo le pendici impervie del lago. Particolarmente difficile si è rivelata l`attività di recupero, che ha coinvolto sette persone tra operai e guardaparco. La colonna, dal peso di 200 chili, si trova esposta ora all`ingresso della sede del Parco. «L`Ente si impegnerà ulteriormente nella tutela e nella promozione di queste ricchezze - spiega il presidente del Parco Gianluigi Peduto ripetendo, qualora fossero necessarie, operazioni di questo genere, sempre in stretto contatto con la Soprintendenza». Il lago di Nemi non è certo nuovo a simili ritrovamenti. Nel corso del tempo, infatti, nei pressi del Tempio di Diana sono venuti alla luce antichi reperti di epoca Romana. Ma il rinvenimento più famoso ci è giunto dal mondo «sottomarino», custode per quasi due millenni delle navi di Caligola, affondate in seguito alla «damnatio memoriae» dell`imperatore. Vere e proprie «regge» galleggianti lunghe circa 70 metri ed arredate con statue di bronzo, mosaici, colonne, templi ed altri ornamenti sopraffini. Tutto in ossequio al culto di Diana. Dopo ben tre tentativi di recupero succedutisi nell`arco di 500 anni (il primo nel 1446 per volontà del Cardinale Colonna), le navi sono finalmente «emerse» nel 1929 grazie ad una tecnica d`avanguardia per l`epoca fascista: il parziale svuotamento del lago. Custodite nel museo delle navi di Nemi, le imbarcazioni sono andate a fuoco nel maggio del 1944. Un incendio che la tradizione popolare imputa ai nazisti in ritirata. Ma gli storici dei Castelli non sembrano troppo concordi con quest`ipotesi. A ricordare le due «ammiraglie» Romane sono le fedeli riproduzioni in scala esposte presso il museo di Nemi.

La mostra "Otium ludens" . I reperti dell´antica Stabiae in esposizione a Hong Kong

La mostra "Otium ludens" . I reperti dell´antica Stabiae in esposizione a Hong Kong
LUNEDÌ, 21 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina V - Napoli

Da San Pietroburgo, dove con i suoi duecento reperti ha affascinato i visitatori dell´Ermitage, la mostra "Otium ludens" dedicata alle ville marittime dell´antica Stabiae del I secolo dopo Cristo vola all´Hong Kong Museum of Art in una nuova e inedita veste.
Organizzata dall´assessorato al Turismo e ai beni Culturali della Regione, dalla sovrintendenza speciale per i Beni archeologici di Napoli e Pompei e dalla fondazione Restoring Ancient Stabiae, in collaborazione con il consolato generale d´Italia a Hong Kong, la mostra rievoca l´atmosfera delle ville d´ozio nell´allestimento progettato dagli architetti Salvatore Abbate e Angela Vinci.
Il percorso parte da un atrio immaginario, attorno al quale si snodano gli ambienti di Villa Arianna e Villa San Marco, il tutto guidato dal video "Stabiae, the last night", ricostruzione virtuale dell´eruzione del 79 dopo Cristo.
Un "paesaggio sonoro" fa da sfondo agli affreschi, mentre un video illustra la tecnica utilizzata dai restauratori del laboratorio di Stabia per la conservazione degli affreschi e, in particolare, per il distacco di una parete intera proveniente dalla villa rustica di Sant´Antonio Abate, esposta in mostra con gli affreschi delle altre pareti.

domenica 20 luglio 2008

Il fascino dell´Aniene cascate, frassini e reperti archeologici

LAZIO - Il fascino dell´Aniene cascate, frassini e reperti archeologici
CLAUDIO RENDINA
DOMENICA, 20 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina XX - Roma

Il fiume è conosciuto anche con il nome di "Teverone". Nasce dal monte Tarino e scorre per 99 chilometri
L´affluente si immette nel Tevere alle falde di Villa Glori, all´Acqua Acetosa
Il corso d´acqua attraversa quattro quartieri: Ponte Mammolo, Trieste, Parioli e Monte Sacro


Che l´Aniene esiste ed è il fiume che bagna Roma molti romani se ne sono accorti solo due mesi fa, quando il 21 maggio, con le piogge di fine primavera, l´affluente del Tevere è uscito fuori dal suo letto allagando la zona di Corcolle, che parte dall´VIII Municipio di Roma.
L´Aniene i romani più edotti lo conoscono come affluente del Tevere, nel quale si immette presso la zona dell´Acqua Acetosa, alle falde di Villa Glori. In realtà questo fiume nasce dal monte Tarino, tra i Simbruini, e scorre per 99 chilometri lungo un andamento tortuoso e violento, formando le cascate di Trevi e Tivoli. Nel territorio del Comune di Roma entra attraversando le zone di Lunghezza e Tor Cervara e quindi quattro quartieri: Ponte Mammolo con lo storico ponte omonimo, Monte Sacro con il medievale ponte Nomentano, il moderno ponte Tazio e il ponte delle Valli, Trieste e Parioli con l´ultimo ponte Salario, poco prima di confluire nel Tevere. I romani, sempre quelli edotti, lo chiamano familiarmente Teverone.
E pensare che a fronte di questo fiume è stato istituito anche un Parco dell´Aniene, che termina proprio alla confluenza con il Tevere. E´ la Bassa Valle dell´Aniene, con il tratto urbano entro il Raccordo, dove pure sono cresciuti querceti, olmi e frassini, mentre vivono nel suo corso perfino gamberi e granchi di fiume. Il tutto sotto la gestione dell´Ente RomaNatura, con sede a Villa Mazzanti, in via Gomenizza 81, al quale ci si può rivolgere per le visite.
Ma è accaduto che lo sviluppo urbano ha snobbato l´Aniene senza nulla concedergli: non vi è una strada che ne accompagni il corso in veste di "lungoaniene" e non esistono piazzole per osservarlo, ad eccezione dei ponti che sono attraversati dal traffico e quindi neanche invitano ad ammirare. Ed è un fatto che, nonostante, l´istituzione del parco, pochi sono i tratti da ammirare, tra capannoni industriali e immondizia, e baracche; là dove fino agli anni Cinquanta qualcuno si azzardava anche a fare un bagno. Come rievoca una memorabile pagina dei "Ragazzi di vita" di Pasolini presso ponte Mammolo, con le scarpate della via Tiburtina inondate dal «rivolo della varecchina».
E capita di fare scoperte straordinarie. Come a fronte della via di Pietralata, sulla riva destra del fiume, in corrispondenza dell´ingresso alla Riserva Naturale della Valle dell´Aniene su via Michelangelo Tilli, imbattersi nei resti di una cisterna romana a cunicoli con pozzi di età tardo repubblicana, distrutta dalla costruzione della strada. Scarso significato ha poi la striscia di verde del millantato Parco Conca d´Oro, eretto a fronte degli intensivi che hanno cancellato il territorio storico di Saccopastore, dove furono trovate nel 1929 e 1935 le due calotte craniche dell´Homo neanderthalensis.

venerdì 18 luglio 2008

No al cemento. Ore decisive per il Foro Italico, appello degli architetti al sindaco

ROMA. No al cemento. Ore decisive per il Foro Italico, appello degli architetti al sindaco
libero quotidiano ed. roma, 18-07-2008

«Rivolgiamo al Ministro per i Beni culturali ed al sindaco di Roma un appello per la difesa dell’integrità dello straordinario complesso architettonico del Foro italico, ancora una volta minacciato da interventi che si annunciano disastrosi». Così un appello firmato da un nutrito gruppo di architetti vip (tra i quali Carlo Aymonino, Massimiliano Fuksas, Italo Insolera, Paolo Portoghesi, Giorgio Muratore, Lucio Barbera e tanti altri) e da Italia Nostra preoccupati per la sorte del Foro Italico. «In particolare», spiegano, «in questi giorni, si sta decidendo, nelle consuete condizioni di emergenza, la costruzione di un nuovo stadio del tennis tra il vecchio "Centrale" e la "Casa delle Armi", un enorme parallelepippedo del "Nuovo stadio del tennis", da adibire provvisoriamente ai
modiali di nuoto. Indipendentemente dalle qualità tecniche del progetto, il volume del nuovo edificio, la sua altezza, l’impatto che avrà sul delicato equilibrio del luogo, l’indotto provocato dai servizi commerciali previsti, si preannunciano come una vera e propria aggressione ad un patrimonio storico-artistico il cui valore è ormai universalmente riconosciuto», prosegue l’appello. «Avendo fiducia nella capacità delle istituzioni di tutelare anche i nostri monumenti moderni, chiediamo cheilnuovo stadio non venga realizzato, che non si prendano decisioni a riguardo in circostanze critiche, che dalle decisioni sul futuro assetto di un complesso culturalmente tanto prezioso come il Foro italico non vengano escluse le forze intellettuali del Paese».
Secondo i firmatari dell’appello «il Foro italico deve vivere, deve tornare Foro dei cittadini e degli sport e il " Nuovo stadio del tennis" deve essere delocalizzato, per non turbare ulteriormente il complesso monumentale che tutto il mondo ci invidia. In queste ore in cui il CONI si fa sotto con le sue esigenze costruttive e speculative, che vogliono ignorare le esigenze culturali e storiche, non possiamo che riportare all’attenzione di tutti e delle Amministrazioni responsabili l’inequivocabile appello firmato il 04 luglio 2007 dalle massime autorità culturali e scientifiche del nostro Paese, adesso porteremo nuove solidarietà ed appoggi».

In mostra i tesori del tempio di Minerva

PUGLIA - In mostra i tesori del tempio di Minerva
TITTI TUMMINO
VENERDÌ, 18 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA -Bari

L´inaugurazione

Nasce l´Antiquarium nel parco archeologico di San Leucio a Canosa. Anche reperti d´epoca paleocristiana


Splendidi elementi della decorazione architettonica del tempio di Minerva, ma anche manufatti, oggetti votivi, vasi di ceramica e oggetti di ornamento: sono i pezzi più importanti dell´allestimento permanente dell´Antiquarium, inserito nel parco archeologico di San Leucio, a Canosa, che sarà inaugurato oggi alle 19,30, dal ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto. Nel corso della serata, intitolata "Ad Minervam, identità e trasformazione di un santuario", sarà illustrato il percorso dell´Antiquarium, diviso in due sale organizzate per sezioni tematiche e cronologiche. Nella prima si potranno ammirare elementi della decorazione architettonica del tempio di Minerva (III- II secolo avanti Cristo) con capitelli ionici, capitelli corinzi figurati, metope e cornici. Nella seconda, manufatti che vanno dal III secolo avanti Cristo al I-II dopo, con terrecotte architettoniche, oggetti votivi, vasi di ceramica, monete, oggetti ornamentali, gioielli in metallo, balsamari in vetro della basilica paleocristiana di San Leucio. Tranne pochissimi pezzi, la maggior parte del materiale non è mai entrato a far parte di un percorso espositivo.

Crypta Balbi, strada e negozi del IV secolo

ROMA - Crypta Balbi, strada e negozi del IV secolo
RENATA MAMBELLI
VENERDÌ, 18 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA - Roma

Tesori nascosti

Nel museo degli scavi visite guidate il sabato e la domenica a scoprire percorsi per anni sepolti sotto detriti e macerie

In via delle Botteghe Oscure in tre campagne di scavi riportata alla luce un´antica via con fabbriche, taverne e anche un tempio


Percorrere una strada della Roma del IV secolo sulla quale si affacciano negozi, piccole fabbriche, taverne e un tempio del Dio Mitra, che allora si contendeva col Dio cristiano i favori religiosi dei romani dell´epoca. Lo si può fare, oggi, entrando nel Museo della Crypta Balbi e facendosi accompagnare, il sabato e la domenica, a scoprire i percorsi che per anni sono stati sepolti sotto i detriti e le macerie della grande area, circa un ettaro, che si stende tra via delle Botteghe Oscure, via Caetani, via dei Delfini e vicolo dei Polacchi. Un´area che tre successive campagne di ricerca, nel 2000, nel 2005 e nel 2008, hanno riportato alla luce esplorandone le diverse epoche e gli strati di storia che si sono sovrapposti proprio in questo punto, uno dei più intensamente e continuativamente abitati di Roma, dai tempi di Augusto ad oggi.
Spiega la direttrice del Museo, Laura Vendittelli, che sull´antico Teatro dell´epoca di Augusto e sulle costruzioni adiacenti, distrutte nell´incendio dell´80 d.C., sono sorti nei secoli, come concrezioni uno sull´altro, edifici di uso diverso che poi, successivamente, hanno dato vita a nuove realtà abitative. E così l´antica ed elegante Esedra del Teatro, conclusa la sua funzione, intorno al II secolo venne adibita a latrina pubblica. Niente a vedere con i nostri bagni: pareti decorate con pitture grottesche, marmi, fontane zampillanti. Per i romani i gabinetti, rigorosamente in comune, erano luoghi pubblici e quindi andavano abbelliti e ingentiliti, come le terme. Ma ecco che passano i secoli, e i bagni pubblici scompaiono. Al loro posto, in quel bell´atrio decorato con fontane e affreschi, a qualcuno nel IV secolo viene in mente di mettere su una taverna. E allora va a prendere qualche pietra tombale di marmo, su cui poco fortunati "posteri" avevano inciso il nome del loro caro sepolto, e ne fanno un pavimento. La fontana torna utile, un grosso ripiano di pietra, preso chissà dove, fa la funzione di un bancone di mescita e in un angolo, dove prima c´era una porta che viene murata, si fa il focolare che in breve, cuoci oggi cuoci domani, annerisce di fuliggine le pareti dipinte.
Non è finita. La taverna confina con una fornace, in cui probabilmente si cuoceva il pane, ma poco più avanti, in una fornace più piccola, si faceva il vetro. E dall´altra parte della strada per aprire altre botteghe sono state buttate giù le pareti delle grandi nicchie del bagno pubblico. Più avanti si arriva all´ingresso del Mitreo: i fedeli scendevano alcuni gradini di pietra per entrare nel sacello sacro. Fu in uso fino al V secolo, segnale che questa religione sparì molto più tardi di quanto si pensi. Sopra, una scala portava ad ambienti che poi, nel V e nel VI secolo, negli anni bui della guerra gotica che causò a Roma ben quattro assedi e una pestilenza, furono prima abbandonati e quindi, quando tutto rovinò sulle costruzioni sottostanti, furono di nuovo abitati da gente che aveva smesso il commercio e si era data alla pastorizia, come testimoniano le mangiatoie e gli abbeveratoi.
Non è finita, naturalmente. La pazienza certosina degli archeologi ha seguito i cambiamenti di quest´area che poi ospitò chiese e conventi nell´alto medioevo e poi, nel Mille, di nuovo case, fino ai palazzi ottocenteschi che ancora l´attorniano. E in questa ricerca documentano che, nel VI secolo, i romani cercarono disperatamente di rimettere in funzione le antiche fogne, usando vecchie anfore, senza successo, mentre nel 1500 i monaci di un convento sovrastante riuscirono a costruirsi una sauna usando proprio le condotte dei bagni pubblici degli antichi romani. Ma non è finita. Continuando verso via dei Delfini ci sono altre stanze ancora murate che aspettano di essere scoperte e rivelate, insieme alla storia di chi vi ha vissuto.
Esedra della Crypta Balbi, visite: il sabato e la domenica dalle 10,45 alle 16,45. La strada delle botteghe sarà visitabile dal´autunno. Informazioni e prenotazioni: 06 39967700

Nelle reti un’enorme anfora romana del primo secolo

TOSCANA - Nelle reti un’enorme anfora romana del primo secolo
VENERDÌ, 18 LUGLIO 2008 IL TIRRENO Pagina 3 - Livorno

E’ stata pescata al largo della Gorgona: alta quasi 2 metri, 90 centimetri di diametro

LIVORNO. Chi non ha mai sognato di calare le reti e pescare un tesoro. Mercoledì pomeriggio è successo davvero a Gianluca Gioli, comandante del peschereccio livornese “Fulmine”. Come tutti i giorni, mecorledì l’imbarcazione è uscita in mare di buon mattino per pescare, poi nel tardo pomeriggio, a largo della Gorgona all’improvviso si ferma. L’equipaggio, composto da Gioli, dal marinaio, Giuseppe Di Grande, e dall’egiziano Hammed Haboallak, sente le reti appesantirsi. Che sarà? Provano a tirarle su per vedere cosa contengano.
E che sorpresa scoprire che all’interno non c’è un un grande pesce o una pesante e inutile carcassa, ma vi è rimasta impigliata un’enorme anfora, alta 1 metro e 85 centimetri e dal diametro di 90. Il peso lordo è di due tonnellate, anche se, ripulita, sta intorno ai 500 chili. Sbalorditi, i tre intuiscono di trovarsi davanti a un pezzo unico, ma forse non immaginano che quel dolio è di epoca romana. Risale infatti al I secolo dopo Cristo e, dalle prime analisi degli esperti della sovrintendenza dei Beni culturali, sembra il gemello di un pezzo custodito nel museo di Storia naturale in via Roma.
Seguono momenti di grande impegno, caratterizzati però dallo sguardo estasiato dei tre che non riescono a credere ai loro occhi. Per issare l’orcio a bordo dell’imbarcazione sono necessarie tre ore. L’oggetto si trova infatti su un fondale di circa 200 metri. La cosa più incredibile è che quel dolio è integro e in ottimo stato di conservazione. «La mia preoccupazione - ha spiegato Gianluca Gioli - era cercare di non danneggiare reti e cime, anche se alla fine non ci sono riuscito. Almeno però l’anfora è rimasta intatta».
Subito dopo il ritrovamento, il comandante del peschereccio allerta una motovedetta della Guardia di Finanza, di pattuglia in zona. I finanzieri del Reparto operativo aeronavale, coordinato dal comandante Luca De Paolis, avvertono subito la Soprintendenza per i Beni archeologici di Firenze. Insieme ai sommozzatori dei vigili del fuoco, come indicato da Pamela Gambogi, responsabile del Nucleo operativo subacqueo della Sovrintendenza, le Fiamme gialle si attivano subito per mettere in sicurezza il prestigioso reperto, che viene nuovamente immerso in acqua nella darsena dei Quattro Mori. Infatti, come spiegano gli esperti, dopo esser stato per circa 2000 anni in acqua, l’oggetto dovrà subire un trattamento speciale con acqua e altri prodotti altrimenti il sale accumulato potrebbe provocare delle crepe.
Nei prossimi giorni, il personale della Soprintendenza eseguirà una perizia scientifica sull’anfora che potrebbe esser sistemata a villa Henderson.
«Ora pensiamo a riparare “Fulmine” - dice Mauro Gioli, padre di Gianluca e armatore della barca - ma grande è la soddisfazione per questo importante ritrovamento». E non è la prima volta che la flotta si trova al centro di recuperi eccezionali. Nel 2002 Fulmine ripescò un elicottero del 118 proveniente da Tarquinia e diretto a Genova che era precipitato in acqua. All’armatore, per l’eccezionale lavoro di recupero svolto, andrà come previsto dalla legge un quarto del valore dell’anfora.
Lara Loreti

giovedì 17 luglio 2008

Il restauro capolavoro del colonnato di piazza di Pietra

ROMA - Il restauro capolavoro del colonnato di piazza di Pietra
CARLO ALBERTO BUCCI
MARTEDÌ, 15 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina XV - Roma

Dal 145 d.C. ad oggi

Le undici colonne del tempio riportate all´antico splendore

Buone notizie da piazza di Pietra. Le catene tengono finalmente lontane le auto blu dal tempio di Adriano e la loro polvere nera dalle magnifiche undici colonne corinzie. Come dai polmoni dei turisti che sollevano il naso verso le sottili venature azzurre del marmo del Peloponneso, tornato a splendere grazie ai restauri appena conclusi, che hanno riguardato anche la statica degli imponenti resti: cerotti in fibre di carbonio aiutano le "catene" dell´800 a sostenere l´architrave lesionato.
Estetica e ingegneria si intrecciano nell´operazione che ha visto coinvolti il padrone di casa, la Camera di Commercio di Roma, dal 1873, e le Soprintendenze statali, archeologica e architettonica. Idee e mani - quelle dei restauratori del Consorzio Roma e della cooperativa Cbc - si sono alternate per un anno intero. Secoli invece ci hanno messo gli architetti e gli operai succedutisi intorno al tempio del 145 d.C., parzialmente demolito nel medioevo per farne calce, inglobato nel ‘600 nella Dogana papalina, prima degli interventi otto-novecenteschi di parziale ripristino.
«Attraverso l´uso del colore abbiamo cercato di rendere esplicite ai visitatori le varie trasformazioni», spiega l´archeologa Fedora Filippi, direttrice scientifica dei lavori insieme con l´architetto Paola Santilli (dell´ingegner Frassinelli la direzione dei lavori). «Ora il colore del marmo risplende sul fondo della cella peperino, mentre alle ali ottocentesche in muratura è stata data una tinta color crema che è di un tono più freddo sulla parte di integrazione dell´architrave». Nella tavolozza dell´edificio – prima tempio, poi fortezza, brefotrofio, dogana, Borsa – c´è posto anche per una malta di pozzolana color marrone ma solo nei tre intercolumni verso via del Corso: è questo il muro superstite della facciata fatta nel 1695 da Francesco Fontana e parzialmente demolita da Vespignani, nel 1873, e da Passatelli, nel 1925. Le quattro colonne sulla sinistra non sono state toccate dal restauro dell´87. E i tecnici vi hanno trovato dai 700 ai 300 perni di ottone messi in passato per fermare la caduta delle scaglie. Sono stati lasciati, come pure, anche se annerita, la pellicola di ossalato stesa sul marmo: «E´ quasi inamovibile e poi non è dannosa per le colonne, anzi le ha protette», spiega la restauratrice Giovanna Martellotti. E la collega Fabiana Fondi: «L´abbiamo rimossa, usando stavolta il laser, solo sugli ovuli della cornice per favorirne la lettura dal basso».
Da sotto i turisti ammirano e non sanno – ma è scoperta di questo restauro, archeologico e architettonico insieme – che le colonne pendono verso l´interno e anche verso il Pantheon. Tra la prima e l´undicesima c´è un dislivello di 30 centimetri. Ma nessun pericolo: gli architetti di Adriano l´hanno pareggiato per poggiarvi l´architrave. «E´ stato comunque creato un sistema di monitoraggio, meccanico ed elettronico», sottolinea la Filippi, annunciando «per il 2009 un volume scientifico che documenterà scoperte e restauri».
A pagare, i "mercanti" del tempio. Ossia la Camera di Commercio che, in un budget per la cultura (dall´Auditorium alla Festa del Cinema, dal teatro dell´Opera a Santa Cecilia) che negli ultimi anni ha superato i 40 milioni, ha sborsato 1.200.000 euro per rimettere a nuovo la facciata più bella di piazza di Pietra. «E´ il simbolo dei nostri interventi nella cultura che consideriamo il motore per lo sviluppo della città», dichiara il presidente Andrea Mondello. Un ultimo sforzo, allora. C´è da mettere mano all´interno alle appesantite forme novecentesche che, in quella che ora è la sala convegni, spezzano in due la grigia, mastodontica, magnifica parete in peperino della cella. Così il cuore sacro del tempio potrà tornare a pulsare.

ROMA - Campidoglio, cede trave del tetto aula Giulio Cesare a rischio crollo

ROMA - Campidoglio, cede trave del tetto aula Giulio Cesare a rischio crollo
CARLO ALBERTO BUCCI
16 luglio 2007, LA REPUBBLICA - ROMA

I tecnici: ora puntelli e dal 25 può tornare il Consiglio

Una trave del soffitto minacciava di cadere proprio sopra gli scranni dove durante il consiglio comunale siede il sindaco. Ad accorgersi del pericolo sono stati ieri mattina alcuni operai impegnati su ponteggi esterni del palazzo Senatorio. E l´aula Giulio Cesare è stata immediatamente evacuata, transennata, posta sotto osservazione. «Bisogna intervenire con grande urgenza, stiamo predisponendo un progetto per puntellare la capriata che sostiene il tetto. Potrebbe crollare» ha detto l´architetto Porfirio Ottolini, dirigente del dipartimento Ediliza monumentale del Comune, dopo il sopralluogo. E Anna Mura Sommella, fino al 2007 direttrice dei Capitolini e responsabile dei restauri del palazzo Senatorio: «È pronto da anni un progetto per un intervento globale su tutto il complesso, ma la presenza degli uffici l´ha reso, di fatto, inattuato».
La studiosa ricorda che la struttura ebbe un cedimento a causa di un terremoto nel Settecento, «quindi nell´800 fu realizzata una nuova copertura autoportante sopra il tetto che ripete quello medievale» (il lato verso la piazza è sostanzialmente del XII-XIII secolo, salvo lo stucco della facciata che è cinquecentesco). Sta cedendo, quindi, forse perché aggredita dalle tarme, una trave ottocentesca. «La capriata - ha spiegato l´architetto Ottolini - adesso è sorretta da un tirante d´acciaio che però non è sufficiente e rende la situazione instabile, come ha decretato la commissione Stabili pericolanti che ha parlato di "inagibilità"». Per l´architetto il problema sono «le travi secondarie che, come avevamo segnalato, non sono ben conservate».
Nonostante tutto, Ottolini è fiducioso: «Contiamo di eseguire i lavori di puntellamento entro mercoledì 23 luglio. In questo modo, salterà una sola seduta del Consiglio, quella di giovedì». Sarà, stamattina alle 10, la riunione dei capigruppo a decidere se annullare la seduta di domani o se spostarla altrove. Non però nella sala della Protomoteca, visto che è da pochi giorni nella grande aula con i busti degli uomini celebri sono da pochi giorni iniziati lavori di ristrutturazione, che tra poco partiranno peraltro anche nella saletta per la stampa annessa all´aula Giulio Cesare.
E così - mentre si pensa se chiedere in prestito ai vigili urbani di via della Consolazione la loro aula per la prossima seduta (ma forse per più di una) del Consiglio comunale - si scopre che il Campidoglio è "stanco" e ha bisogno, da tempo, di urgenti lavori. «Dopo gli interventi negli anni Ottanta nel corpo che s´affaccia sul Foro e nella torre del sindaco, i restauri sono andati avanti a singhiozzo - ricorda la Mura Sommella - . E questo perché il palazzo, una struttura articolata, complessa, con problemi strutturali evidenziati dalle commissioni di esperti, è pieno di uffici che non è stato possibile spostare altrove».
Stamattina la giunta Alemanno e i capigruppo del Consiglio si riuniranno nella sala delle Bandiere. Attaccata alla Giulio Cesare, anch´essa ieri è stata chiusa per problemi di sicurezza. Nel cantiere del Campidoglio - con i lavori in corso sulle facciate dei lati corti - si va intanto avanti a consolidare la Rupe Tarpea verso via della Consolazione. «Anche sul lato del Teatro Marcello c´è un appalto ma - rivela Ottolini - ora è momentaneamente fermo per il blocco dei fondi già impegnati».

Gianicolo, l´"ottavo" colle da qui si godono gli altri sette

Gianicolo, l´"ottavo" colle da qui si godono gli altri sette
LUCA VILLORESI
GIOVEDÌ, 17 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina XVI - Roma

Etruschi, papi, Unità d´Italia: ecco dov´è passata la storia


Il Tevere traccia un solco fra due territori diversi anche sul piano geologico
L´antico Janiculus segna un antichissimo confine geopolitico

Tanto più che il vecchio Janiculus (in onore di Giano, Janus, il dio bifronte) non è semplicemente un bell´osservatorio affacciato sul paesaggio capitolino; è anche una sorta di cippo, chiamato a segnare un antichissimo confine geopolitico.
Lo spartitraffico è lo stesso di tremila anni or sono. Riva destra e riva sinistra. Il Tevere, proprio ai piedi del Gianicolo, traccia un solco fra due territori profondamente diversi. Sull´altra sponda, a oriente, i sette colli sono figli dell´attività vulcanica dei Colli Albani: tufi e pozzolane. Da questa parte, a occidente, viceversa, la catena di rilievi che corre dal Gianicolo a Monte Mario è nata dall´emersione del fondo di un mare che si stendeva in questa zona oltre un milione di anni fa. Come dire argille e sedimenti sabbiosi; spesso frammisti a quelle conchiglie fossili che affiorano a tratti dal pendio che scende verso Porta Portese, o sotto le Mura gianicolensi, vicino a San Pietro in Montorio. Un appellativo, quello di Montorio, spesso usato in passato per indicare questo colle: un nome che ci riporta dall´etimologia alla geologia, derivando da Mons aureus, il Monte d´oro, per via del colore delle sue marne gialle. Siamo sull´orlo di un confine naturale. Ma anche politico, dacché la riva destra era etrusca e proprio sul Gianicolo iniziava il territorio di Veio.
«Questo spettacolo sopravvive per le generose offerte del pubblico. Almeno un euro grazie». Pulcinella ringrazia. Ci sono molti metri per misurare il tempo che passa sul volto di un colle: la vita dei muri, degli alberi, degli uomini. Il Gianicolo, peraltro, proprio per la sua posizione defilata, è rimasto fino al secolo scorso abbastanza simile a quello delle origini. E i simboli che nell´immaginario popolare identificano questo luogo sono tutti di formazione abbastanza recente. La quercia amata da Torquato Tasso, ridotta a uno scheletro rinsecchito e puntellato, ha poco più di quattrocento anni. Nemmeno un secolo è passato da quando, nel 1911, il faro donato dagli emigrati italiani in Argentina ha lanciato il suo primo fascio di luce tricolore. E meno di mezzo secolo conta l´altra istituzione locale, il teatrino dei burattini di Carlo Piantadosi, che lavora sulla cima del Gianicolo dal 1959. A un certo punto volevano sfrattarlo perché si sospettava che Pulcinella potesse turbare la sacralità dell´ambiente. Per aggirare i vincoli, alla fine, c´è voluto un riconoscimento ufficiale dei Beni culturali: quel baracchino, ha decretato il ministero, rappresenta «una testimonianza superstite di una forma di spettacolo collegato alla storia della commedia dell´arte». Auguri a Piantadosi, che va per gli ottanta.
Nel 1849 le batterie da campagna del generale Oudinot dovevano essere piazzate più o meno tra il chiosco delle grattachecche e la fermata del 75, all´altezza di piazza Rosolino Pilo. Inversamente proporzionale a quella di Porta Pia, la breccia aperta dall´artiglieria francese nelle Mura gianicolensi ha segnato la fine della Repubblica romana. Per assurgere, dopo l´Unità, a fulcro di una commemorazione che ha trasformato il Gianicolo nell´altare di un´epopea risorgimentale celebrata per ogni dove da monumenti, busti, lapidi.
Il passaggio dall´epigrafia papalina alla garibaldina - così come un tempo quello da Mario a Silla - rientra peraltro nella tradizione di un colle consacrato a Giano bifronte e piazzato come un bastione sulle strade che arrivano dal mare e dal nord: etruschi, lanzichenecchi, francesi... Quella del 1849 è stata solo l´ultima delle battaglie combattute sul Gianicolo. E chissà che la cannonata di mezzogiorno non nasconda qualche valenza di esorcismo. Di certo ha una sua potenza evocativa. L´istituzione risale a Pio IX, indispettito dal fatto che le campane di Roma si ostinavano a battere le dodici ognuna per proprio conto. All´inizio il cannone sparava da Castel Sant´Angelo. Trasferito sul Gianicolo all´inizio del Novecento, sospeso per la guerra e ripristinato nel 1959 (anche grazie a una campagna promossa da Mario Riva), il botto di mezzogiorno funge tuttora - una sorta di imprinting - da rito di iniziazione per i timpani dei bambini romani.
Le Mura gianicolensi avvolgono i fianchi del colle come le spire di un serpentone che a volte asseconda, a volte sembra stritolare i cambi di livello. Concepite nel Seicento come un prolungamento delle Mura Leonine (costruite a difesa del Vaticano dopo la scorreria saracena dell´846), delimitano la cima del colle con un taglio preciso. Una separazione netta - chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori - che ha pesato sulla storia urbanistica del circondario. Nelle proprietà che si ritrovavano al riparo della cinta muraria sono nate molte delle ville più belle di Roma: Lante, Corsini, Spada, Sciarra. All´esterno, lungo l´Aurelia antica, con la sola eccezione di villa Pamphili, i terreni venivano invece destinati a usi agricoli.
Una separazione netta tra città e campagna, durata fino all´ultima guerra quando la gita fuori Porta San Pancrazio era famosa per le sue osterie, per un vinello bianco e, ultima memoria cancellata, anche per le sue acque. Fossero quelle dell´acquedotto Paolino, celebrato dalla frescura del Fontanone; fossero quelle delle fonti (tra le migliori di Roma, si diceva) dell´Acqua Corsiniana, che scendeva nell´Orto botanico, o dell´Acqua Lancisiana, che negli anni Quaranta ancora sboccava vicino al Santo Spirito.
Un colle è fatto anche di pendici. Queste sono ripide, fragili (spesso sono puntellate e transennate) e, come s´è detto, molto diverse tra loro. Si sale da via delle Fornaci e dalla via delle Mura, dai vicoli trasteverini e dai sentieri dell´Orto botanico... viali, ponti bianchi, Monteverdi (vecchio, nuovo, nuovissimo). Per non dire della più famosa passeggiata panoramica della Capitale, incoronata da Villa Lante: una piuma, appoggiata sui resti della dimora di Marziale. «Hinc septem dominos videre montes et totam licet aestimare Romam». Ecco i Sette colli, ecco tutta Roma.
Lo spettacolo, nelle sue linee essenziali, è ancora quello cantato dallo scrittore latino; sebbene gli aggiornamenti non manchino. A volte sono segni minuti e recenti, come il compleanno di Vanessa, celebrato in spray rosso sul marmo del Faro. Altre volte mastodontici, estesi come gli stessi profili dell´orizzonte. Proprio accanto al Gianicolo, ad esempio, per far posto alla basilica di San Pietro, è stato tagliato via di netto l´elemento centrale della catena di rilievi che andava da qui a Monte Mario. Li chiamavano i monti Vaticani, i monti dei vaticini, perché si narra che proprio quelle alture fossero le predilette dai sacerdoti etruschi che leggevano il futuro nel volo degli uccelli. Chissà se qualche indovino, osservando là, oltre il Tevere, in un giorno di aprile del 753 avanti Cristo, avrà mai notato qualcosa di insolito nel cielo dei Sette colli.

mercoledì 16 luglio 2008

Marche Meraviglia . Quanta Roma sotto i nostri piedi

Marche Meraviglia . Quanta Roma sotto i nostri piedi
Edizione del 15 luglio 2008, CORRIERE ADRIATICO

Marche Meraviglia è un’opera in dieci fascicoliper conoscere meglio il grande patrimonio della nostra regione: un viaggio dal verde incontaminato ai percorsi della fede, dalla scoperta della civiltà contadina alle piazze che racchiudono dentro di loro una storia infinita
Alla scoperta dei Parchi Archeologici, dove spesso trova casa anche il teatro

LA storia cammina, come i Romani, che a palmo a palmo si conquistarono tutta l’Italia (e molto altro ancora), integrando con la loro la cultura dei Piceni. E venne la grande stagione dei romani nelle Marche, quella che affiora dalla nostra terra, di tra i vomeri dei contadini e le benne dei costruttori, che ogni tanto urtano contro qualcosa che è più duro di radici di rovere: la storia riaffiora, e incontra il suo futuro. E come dice il soprintendente archeologo per le Marche Giuliano de Marinis, sta a noi lasciarla scritta un po’ più completa e netta, non più devastata di come ci è stata tramandata. Per questo l’archeologia, scienza ostica per chi non se ne occupa, ma chiara a chi si fida di chi se ne intende, è tutrice di un passato che ognuno può conoscere. Basta andarselo a cercare là dove gli archeologi l’hanno trascritta in vetrine di musei e il cartelloni esplicativi, più ancora che sui loro dotti libri. Già, perché il popolo non ha tempo né spesso competenza per invischiarsi nei trattati accademici: per questo è tanto più meritorio che le Marche si siano dotate di un sistema di Parchi Archeologici, cui afferiscono spesso o piccoli musei o raccolte civiche di reperti. E per questo abbiamo voluto dedicare un fascicolo, il 7° di Marche Meraviglia, all’Archeologia Romana, dopo quella Picena: per indicare sinteticamente - ma con molto amore, diremmo - i luoghi in cui quella storia è più facile da leggersi. E poiché i Romani avevano, indiscutibilmente, un senso del bello sobrio e consolidato dall’imitazione dei Greci, questo viaggio di conoscenza è anche un viaggio nel piacere estetico.

Il suggerimento è di seguire le proposte: grandi aree dal Nord al Sud delle Marche, da Novilara a Monte Rinaldo, passando per Civitalba, Numana, Osimo, Urbisaglia. E poiché da dieci anni una rassegna teatrale ha scelto il luoghi carismatici dello spettacolo antico come sede di rappresentazioni estive, alle nostre indicazioni potete aggiungere le vostre impressioni personali, raccolte negli itinerari a seguire il Tau, Teatri Antichi Uniti, in cui non è chiaro (ma non importa) se sia il teatro inteso come dramma a trarre maggiori benefici dall’insediarsi nei luoghi antichi o viceversa. L’importante è che ancora una volta si intenda la lezione per cui la cultura non va per cassettini separati e nemici gli uni agli altri. Ma tutto si tiene.

LUCILLA NICCOLINI

domenica 13 luglio 2008

Trastevere, rinasce l´Excubiturium la più antica caserma dei pompieri

ROMA - Trastevere, rinasce l´Excubiturium la più antica caserma dei pompieri
DOMENICA, 13 LUGLIO 2008 la Repubblica - ROMA

Un progetto per ridare luce alla prima caserma al mondo dei Vigiles, l´antico gioiello archeologico dell´Excubitorium della VII Coorte che si trova a Trastevere vicino piazza Sidney Sonnino. Lo ha presentato ieri Emiliano Varanini, presidente dell´associazione culturale "VII Coorte". L´Excubitorium risale al III secolo dopo Cristo, era una classica domus romana in origine ed è diventato simbolicamente il milite ignoto dei vigili del fuoco del mondo. Oggi però si trova in uno stato «di abbandono, poco interesse, e poca attrattiva turistica», spiega Varanini.
L´idea principale di tutto il progetto di riqualificazione è il ripristino della caserma per visite e appuntamenti culturali. «Sarà un progetto "silenzioso" - spiega Varanini - perché non vuole impattare con l´urbanistica di Trastevere. Vorremmo lavorare in sinergia con il Comune, la Sovrintendenza e le associazioni del territorio per creare di questo sito un punto di aggregazione con tutti i vigili del fuoco del mondo». «È intenzione dell´amministrazione - dice Alessandro Cochi, consigliere del Pdl - collaborare affinché l´Excubitorium sia rivalorizzato e riqualificato. A settembre avvieremmo la conferenza dei servizi per iniziare a lavorare insieme».

Lo scempio della Via Sacra alberi abbattuti e selciato rotto

ROMA - Lo scempio della Via Sacra alberi abbattuti e selciato rotto
Carlo Alberto Bucci
DOMENICA, 13 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA - Roma

L´antica strada romana rovinata da recenti interventi di disboscamento.

A Rocca di Papa i cento fusti costeggiavano il basolato del primo secolo a.C.

Il taglio del bosco è andato. Ben al di là della naturale manutenzione, del fisiologico ricambio, del corretto rapporto economico tra l´uomo e la terra. E, insieme ai castagni, sotto la scure sono caduti al suolo anche le querce, i pioppi, i carpini. A segnalare le specie sono rimasti - paradossalmente - solo i cartelli didattici, malinconicamente issati accanto ai tronchi segati. Ma all´aria sono andate anche alcune antiche basole romane, scheggiate o rimosse dai cingolati dei taglia bosco. Perché i cento alberi costeggiavano parte della via Sacra di Rocca di Papa, una strada del primo secolo avanti Cristo perfettamente conservata per tre chilometri.
A denunciare alla procura di Velletri il danno subito dall´area archeologico-naturalistica che si trova nel Parco dei Castelli, è l´associazione Terre Sommerse Castelli che realizza, tra l´altro, visite guidate in questo lembo di paradiso sotto la vetta del Monte Cavo. I soci, una ventina in tutto, sono tornati nei luoghi dove solitamente portano studenti e turisti. E si sono trovati di fronte un paesaggio spettrale.
Il bosco è di proprietà del Comune di Rocca di Papa che, periodicamente, incarica ditte esterne - in questo caso la Sibi srl, all´opera da febbraio - di effettuare tagli programmati. Ma qui sembra che i taglialegna si siano fatti prendete la mano. E in pericolo è anche l´archeologia: «Il taglio - si legge nell´esposto - comporterà anche l´erosione delle scarpate poste lungo la via Sacra che, private dalla vegetazione arborea, non potranno far altro che franare sull´antico basolato mettendone a rischio la conservazione». E poi ci sono i danni subiti, sostiene l´associazione, dal tracciato della via Sacra che, in località Guardianone, è rimasto interrato. Mentre alcuni tronchi sono caduti su un´antica cisterna, «mettendone a rischio l´esile volta».
Sulla vicenda è intervenuto il Parco dei Castelli. Indagando sull´accaduto e trovando soluzioni per il futuro. Spiega il presidente dell´ente, Gianluigi Peduto: «Abbiamo mandato la municipale, i guardia parco e la Forestale a verificare. Ma non hanno riscontrato anomalie rispetto al taglio programmato». E le querce? «Questi tagli non sono autorizzati e, quando li scopriamo, denunciamo i responsabili all´autorità giudiziaria. Non escludo che le querce siano state abbattute da persone diverse dalla ditta incaricata dal Comune».
Ma Peduto non vuole che accada più ciò che è successo dopo il taglio autorizzato, non da lui, nel 2006. «Abbiamo già siglato una convenzione con il Comune, e con una società di intermediazione per i crediti di CO2, per fermare i tagli dei boschi permettendo all´amministrazione di compensare le perdite dalla mancata vendita del legname. Inoltre, il consiglio direttivo del Parco ha approvato una risoluzione affinché in futuro i nulla osta ai tagli prevedano una fascia di rispetto di circa 20 metri in prossimità dei siti archeologici». Così il taglio previsto tra circa un anno nella parte alta della via Sacra di Rocca di Papa non potrà più violare l´integrità paesaggistica, l´accordo intatto di natura e cultura.

sabato 12 luglio 2008

Radio-carbon tests reveal true age of Rome's she-wolf - and she's a relative youngster

Radio-carbon tests reveal true age of Rome's she-wolf - and she's a relative youngster
John Hooper
The Guardian 10/07/2008

It is the very symbol of the glory that was Rome. It figures on the badge of the Serie A side, AS Roma. It was used as the emblem of the 1960 Rome Olympics. For Benito Mussolini, Italy's fascist dictator, there was nothing more representative of the might of the empire he hoped to revive than this magnificent, life-size bronze of a she-wolf suckling the city's legendary founders, Romulus and Remus.

Until two years ago, the so-called Capitoline Wolf was almost universally recognised as an Etruscan statue from the early part of the 5th century BC. But, according to an article published yesterday by one of Italy's most eminent archaeologists, radio-carbon tests have shown it was manufactured in the Middle Ages.

Prof Adriano La Regina, formerly Rome's top heritage official, said about 20 tests were carried out last year at the University of Salerno. In a front-page article for the daily La Repubblica, he said they had resulted in a "very precise indication in the 13th century [AD]".

The she-wolf is among the most important works on display at the Capitoline museums. Its silhouette features in Rome on everything from souvenir T-shirts to restaurant menus. So its authenticity as a classical work is a sensitive matter. La Regina noted that the conclusion of the tests was revealed last October and that the Rome civic authorities had undertaken to publicise the outcome, but had not done so.

Several important statues of the she-wolf existed in ancient Rome. Cicero recounted that one, on the Capitoline hill, was struck by lightning. For many years, it was thought this was the one on display today, which has a damaged paw.

The pioneering 18th-century German art historian, Johann Joachim Winckelmann, first gave the statue an Etruscan origin, basing his attribution on the way the animal's fur was depicted. In the following century, at least two experts cast doubt on Winckelmann's theory and suggested the she-wolf was medieval, but their objections were ignored.

It was only in 2006 that an Italian art historian and restorer, Anna Maria Carruba, published a detailed critique of the accepted view. She argued that the bronze had been cast with a method unknown in classical times, and that marks left by the artist on its surface were more typical of the Middle Ages.

Symbol of Rome found to be 1,000 years too young

Symbol of Rome found to be 1,000 years too young
Peter Popham
The Independent 10/07/2008

Mussolini cherished her as a symbol of the "new Rome" he was bringing into being; and 60 years on, the bronze she-wolf with the gaping eyes, heavy udders and mouth half-open in a growl still says "Rome" as eloquently as the Colosseum.

But to the chagrin of Rome romantics everywhere, scientists have now proved that the Lupa Capitolina, the life-size bronze of a wolf with two human infants suckling her, on view in the city's Capitoline Museum, dates not from the time of togas and chariot races but from the 13th century, more than 1,000 years later.

As scientific knowledge advances, Rome is steadily losing its intimacy with its mythical origins. First to go were the twins hanging off the wolf's teats, moulded in a very different style from the wolf, and proved beyond doubt to have been made in the late 15th century. Last November Italy's then minister of culture, Francesco Rutelli, created great excitement by announcing that archaeologists had located the very cave where the wolf suckled the twins – but it did not take long for scholars to point out that the suckling by the wolf was never more than a myth.

And now it's the turn of the wolf herself. The story goes that the twins Romulus and Remus, conceived when the god Mars raped the Vestal Virgin Rhea Silvia, were cast into the river Tiber in a basket by their evil great-uncle but rescued by the she-wolf, who brought them up as her cubs. Romulus subsequently killed his brother and went on to found the city that bears his name. Images of the wolf suckling the twins have symbolised the city since deepest antiquity, and Cicero mentioned that the most important statue of the wolf had been inauspiciously damaged by lightning in 65 BC.

Scholars have been arguing about the age of the Lupa Capitolina since the 18th century: those wishing to believe that this was the original work described by Cicero pointed to damage to one of the paws as a possible result of a lightning strike. Eventually the consensus took hold that it was an Etruscan work, dating from the 5th century BC.

It was only a matter of time, however, before scholars began looking at the wolf more carefully. One of them, Anna Maria Carruba, noted that the technique used to make the statue, enabling it to be cast in a single piece using wax for the mould, was unknown in the ancient world. The damage to the paw, she claimed, was caused by an error in the moulding process. The wolf was a product not of the dim distant Etruscan past but of the Middle Ages.

This was unwelcome news to traditionally minded historians, for whom the Etruscan provenance of the wolf has been seen as an established fact for generations – and the political power of those academics has caused the publication of definitive proof of the work's age to be delayed by more than a year. To end the controversy it was decided to submit the work to radiocarbon dating. The tests were carried out in February 2007, and last August the truth began to leak out. But the final revelation came only yesterday, when Adriano la Regina, Rome's most eminent archaeologist, broke the news in La Repubblica.

venerdì 11 luglio 2008

TOSCANA - E all´improvviso ecco gli scavi della fattoria romana

TOSCANA - E all´improvviso ecco gli scavi della fattoria romana
GIANFRANCO BRACCI
VENERDÌ, 11 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA - Firenze

Da Gonfienti e Porcari, passando sotto la rocca della Smilea, salendo a Serravalle e scendendo a Montecatini

Eccoci di nuovo in viaggio con le nostre fide mountain bike preparate amorevolmente dai tecnici della Tuttinbici di Calenzano. Non ci resta che seguire l´antica Via Cassia che da Gonfienti conduceva a Pistoia e oltre. Seguendo tratti di nuove e pratiche piste ciclabili del Comune di Prato tocchiamo il Centro di Scienze Naturali di Galceti e, dopo alcuni leggeri saliscendi, giungiamo alla imponente e suggestiva rocca della Smilea caratterizzata da due eleganti torri d´avvistamento, che segnava le sex-milia (sei miglia) di quest´arteria romana costruita probabilmente sul precedente tracciato etrusco. Il percorso, sebbene oggi molto antropizzato, si svolge in un ambiente suggestivo: a destra le propaggini dell´Appennino pratese e poi pistoiese ricoperte di boschi e foreste, a sinistra la pianura ormai preda della maxi-città che si estende fino a Firenze. E´ presto, l´aria è frizzante. Ci vengono incontro i cicloamatori del Torretta Bike di Porcari (Lu). In testa c´è Franco Fanucchi, adesso assessore al turismo e sport del comune di Porcari. Questi ragazzi, nel 2005 sperimentarono la Via etrusca passando dalla città etrusca di Marzabotto (Bo), per certi aspetti gemella di Gonfienti (Po), ancora in buona parte da scavare. Pedaliamo affiancati scambiandoci pareri e racconti di questo viaggio simile fatto a distanza di tre anni e concordiamo di collaborare per la migliore riuscita del progetto che ci vedrà impegnati insieme al CAI emiliano e toscano, nella realizzazione di questa importante proposta turistico-culturale e del tempo libero. La salita del Serravalle è breve ma sufficiente a produrre un bel po´ di sudore che però la discesa verso Montecatini Terme asciuga velocemente. Proprio a Montecatini, nel prossimo ottobre in occasione della Borsa del Turismo Sportivo, getteremo le basi per mettere a progetto tutto il percorso da mare a mare. Pedalando ci accorgiamo che questa zona ci creerà un certo numero di problemi dovuti alla diffusa presenza di strade, autostrade e zone abitate che ormai riempiono tutto il paesaggio. Con gli amici del Torretta Bike cerchiamo strade alternative ed alcune sterrate ci facilitano il compito. Intanto comincia a far caldo e non vediamo l´ora di arrivare a destinazione. "Ragazzi stiamo per arrivare", ci dice Valter, l´altro amico del Torretta Bike, indicandoci il bel borgo medievale di Porcari addossato ad una collina. Poi, inaspettatamente, ecco apparire gli scavi delle fattorie romane di Fossanera appena ritrovate. Sono rimaste intatte grazie al lago di Bientina che le sigillò per poi rendercele, dopo la bonifica. L´archeologo Luca Ubaldo Cascinu ci spiega che vi si produceva il vino e le anfore per contenerlo. Poi ci mostra dove è stato ritrovato il tratto di via etrusca dei due mari largo ben sette metri. Haimé, ormai ricoperto di terra.
(3-continua)

La Lupa e la Sfinge. Una mostra a Castel Sant'Angelo racconta il rapporto tra l'antica Roma e l'Egitto

Corriere della Sera Roma 11.7.08
La Lupa e la Sfinge. Una mostra a Castel Sant'Angelo racconta il rapporto tra l'antica Roma e l'Egitto
di Lauretta Colonnelli

Tra le opere esposte a Castel Sant'Angelo, in questa mostra che vuole celebrare l'intenso rapporto tra Roma e l'Egitto sviluppato nell'ampio arco che va dal I secolo a.C. fino all'Età dei Lumi, almeno un paio rappresentano una occasione straordinaria per una visita. La prima è la Tabula Bembina o Mensa Isiaca, uno dei pezzi più famosi del Museo Egizio di Torino, che ora torna per la prima volta nel luogo collegato direttamente alla sua storia. Le prime informazioni sulla tavola in bronzo, riccamente decorata a colori con figure che narrano la storia di Iside e Osiride, risalgono infatti alla prima metà del XVI secolo, quando fu donata al cardinale Pietro Bembo (da cui il nome Bembina) dal pontefice Paolo III, committente dei famosi appartamenti farnesiani all'interno del Castello. Le notizie sul periodo precedente restano oscure, ma gli studiosi fanno risalire la sua esecuzione al I secolo d.C.
Arriva da Torino anche un'altra opera dalla storia misteriosa, la «Statua magica». Anzi, ne arriva soltanto una metà, perché l'altra metà proviene da Firenze. Le due parti del monumento sono infatti conservate separatamenete nelle due città, ma in origine appartenevano entrambe alla collezione di quello che è considerato il primo grande egittologo: padre Athanasius Kircher, gesuita tedesco giunto nel 1634 al Collegio Romano, ufficialmente come professore di scienze matematiche, ma in realtà per studiare i geroglifici nella città europea che conservava il maggior numero di reperti egizi. La mostra offre dunque l'occasione di rivedere dopo tanti anni i due frammenti riuniti. Purtroppo la loro storia resta un mistero, dato che i curatori (Eugenio Lo Sardo, Manuela Gianandrea, Elisabetta Interdonato, Federica Papi) le dedicano, anche nel catalogo, non più di una didascalia di poche righe, dalle quali si viene a sapere che l'opera è in granito nero, alta 17 cemtimetri e risale al IV secolo a.C. Chi visita la mostra scopre anche che la scultura, di forma strana, presenta alcune figure ed è interamente ricoperta da incisioni con geroglifici.
Sia la Mensa Isiaca che la Statua magica si trovano a metà del percorso, che segue un criterio cronologico. I visitatori vengono accolti all'ingresso dai busti e dalle statue di Nerone e di Domiziano, che si fecero rappresentare, imitando Alessandro Magno, con la doppia immagine, egizia e classica. E, trovandosi nel mausoleo di Adriano, non poteva mancare il ricordo del ragazzo amato dall'imperatore e annegato nelle acque del Nilo. Il bellissimo Antinoo si incarna a grandezza naturale nella statua della collezione Farnese del Museo archeologico di Napoli, svetta nelle vesti di Osiride nella famosa scultura conservata ai Musei Vaticani (ma qui presente solo in un calco appositamente realizzato) e appare infine, divinizzato, nel busto di quarzite rosa proveniente da Dresda. Si prosegue con la storia d'amore tra Antonio e Cleopatra, rappresentati da due teste marmoree, e con le statue del Nilo (impersonato dalla Sfinge) e del Tevere (raffigurato dalla Lupa con Romolo e Remo) provenienti da Villa Adriana. Si passa alla fascinazione del mondo egizio a Roma durante il Medioevo e il Rinascimento, documentata da vari testi e disegni, compresi quelli che raccontano l'innalzamento, ad opera di Sisto V, dei numerosi obelischi che diverranno, insieme a sfingi e piramidi, un elemento caratterizzante del paesaggio urbano. Si chiude con il Settecento, illustrato dalle note incisioni di Piranesi con i suoi capricci egittizzanti per decorare i camini e con la ricostruzione della Sala egizia della Galleria Borghese, la più nota tra le molte realizzate all'epoca.

La Lupa e la Sfinge. Castel S.Angelo, tel. 199757511. Fino al 9 novembre, dal martedì alla domenica, ore 9-19, chiuso il lunedì In alto, «Ila rapito dalle ninfe» (IV sec. d. C.) e la statua che raffigura il Tevere. Sopra, «Riposo dalla fuga in Egitto» di Nicolas Poussin

mercoledì 9 luglio 2008

"SALVIAMO IL PORTO NERONIANO"

LAZIO - BENI ARCHEOLOGICI: "SALVIAMO IL PORTO NERONIANO"
Il Corriere laziale, 8 luglio 2008

Nel 2004 la Regione Lazio approvò un progetto per la messa in opera di una diga posta a difesa dell'antico porto romano e delle strutture adiacenti, denominato "Intervento a difesa del litorale e del bacino dell'antico porto neroniano ed a tal fine stanziò un contributo di 1.000.000 di euro, con delibera della Giunta Regionale n. 61 del 30/1/04, per la realizzazione di un primo stralcio. Recentemente la Sovrintendenza per i Beni Archeologici del Lazio è tornata a sollecitare l'Amministrazione Comunale rispetto all'urgenza di un intervento a tutela del Porto Neroniano, minacciato dalla continua erosione del mare, che rischia di scomparire definitivamente, se la Regione Lazio non procederà immediatamente con le opere previste. Per questi motivi il sindaco Luciano Bruschini, l'assessore al turismo Umberto Succi ed il presidente della Pro Loco "Porto d'Anzio" invitano tutta la cittadinanza a partecipare alla sottoscrizione di firme per il progetto di protezione del Porto Neroniano e della Villa Imperiale, per fare in modo che sia avviato e portato a compimento l'intervento di tutela del millenario patrimonio storico ed archeologico della città di Anzio e dell'umanità. L'appuntamento è dal 18 al 25 luglio in Piazza Pia, dalle 1 B.00 alle 23.00, per ammirare la mostra fotografica sull'erosione marina del Porto Neroniano e della Villa Imperiale e dare il proprio appoggio all'iniziativa della raccolta di firme. Ricordiamo che ci sono in ogni caso altri punti permanenti per la raccolta firma presso il Museo Civico Archeologico e Museo dello Sbarco in Via di Villa Adele, Parco Archeologico della Villa Imperiale in Via Fanciulla d'Anzio, Ufficio I.A.T. di Piazza Pia, Box Informazioni Pro Loco di Lavino in Piazza Lavinia, Bar Gran-d'Italia in Piazza Pia e presso gli stabilimenti balneari "Tirrena" [Riviera Zanardelli], "Dea Fortuna" e "Lido di Nerone" [Riviera Mallozzi]. Info: 3475912752 - litorale@email.it

Il mistero della Lupa svelato dal carbonio

Il mistero della Lupa svelato dal carbonio "È medievale, non etrusca"
ADRIANO LA REGINA
MERCOLEDÌ, 09 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina 21 - Cronaca

A riconoscerne la fattura Anna Maria Carruba che ha lavorato al restauro

La scultura era stata variamente attribuita all´arte antica, dagli etruschi ai romani

Ma poi non se ne era saputo più nulla. Solamente nell´agosto del 2007 trapelarono le prime notizie sull´effettivo svolgimento delle analisi. Il 31 ottobre, infine, una nota di agenzia fece sapere che le indagini erano state eseguite, ma i risultati non furono divulgati: il Comune di Roma si era riservato il diritto di pubblicarli, ma non lo ha fatto. Le nuove informazioni sull´epoca del bronzo capitolino sono state così sottratte per circa un anno alla conoscenza del pubblico e degli studiosi.
La scultura era stata variamente attribuita all´arte antica: etrusco-italica, magno-greca, romana; secondo l´opinione più diffusa era considerata un oggetto di produzione etrusca dei primi decenni del V secolo avanti Cristo. A riconoscerne la fattura medievale è stata Anna Maria Carruba, la quale per prima aveva accertato che la Lupa era stata fusa a cera persa col metodo diretto in un sol getto, tecnica adottata per i grandi bronzi nel Medio Evo e non in epoca precedente; aveva anche constatato che le superfici della scultura non presentavano i segni caratteristici delle lavorazioni antiche, bensì quelli riscontrabili su tutti i bronzi di epoca medievale. I risultati, insospettati e strabilianti, furono pubblicati dalla Carruba nel dicembre 2006 suscitando attenzione internazionale, specialmente in Germania ove le ricerche sulle antiche tecnologie sono molto avanzate. In Italia, nel mondo degli studi di storia dell´arte antica, si ebbero reazioni non unanimi con segni di contrarietà tra quegli archeologi del Comune di Roma che avevano sottovalutato e respinto le ripetute segnalazioni di Anna Maria Carruba, impegnata nel restauro della Lupa tra il 1997 e il 2000. Anche contrari sono stati taluni ambienti accademici insofferenti dei successi dovuti alle nuove tecniche di indagine; il lavoro della Carruba ha inoltre infranto definitivamente il vecchio pregiudizio di un rapporto gerarchico tra lo storico che interpreta i fenomeni artistici, e gli altri ricercatori che studiano la materia dell´opera d´arte e le sue trasformazioni.
La Lupa è un´opera d´arte possente, raffinata e complessa. Ha sempre esercitato un fascino particolare, ha evocato miti e leggende. Theodor Mommsen (1845) osservò che il bronzo, da lui considerato genericamente antico, benché horridum et incultum lo commuoveva più delle belle sculture presenti nel museo. L´attribuzione all´arte etrusca risaliva però già al Winckelmann (1764), il quale aveva tratto questa convinzione dalla rappresentazione appiattita dei riccioli e delle ciocche del pelame che in ogni successiva trattazione sarebbero rimasti l´oggetto di raffronto stilistico con altre opere d´arte.
La successiva storia degli studi riguardanti la Lupa è stata offuscata da informazioni erronee, superficiali e fuorvianti su restauri mai eseguiti, come quelli relativi alla coda, oppure su danni subiti, che in realtà sono difetti di fusione. Già nella sua Roma antica Famiano Nardini (1704) attribuiva a un fulmine le lesioni alle zampe, identificando così la scultura con la statua di bronzo dorato, raffigurante Romolo allattato dalla lupa, folgorata nel 65 avanti Cristo sul Campidoglio. Gli aspetti iconografici del bronzo capitolino hanno dimostrato solo generiche analogie con l´arte antica. L´analisi stilistica si è per lo più rivolta all´interpretazione dei caratteri non classici, considerati «italici». Soprattutto nella scuola germanica la critica ha insistito anche per la Lupa nella ricerca strutturale (Strukturforschung), teorizzata negli anni Trenta da Guido Kaschnitz von Weinberg, un eminente storico dell´arte antica. Sulla scia teorica di Kaschnitz sono gli studi sulla Lupa di Friedrich Matz (1951), che vi ha riconosciuto un prodotto dell´arte etrusca. Questa posizione interpretativa è stata ancora ribadita da Erika Simon (1966).
Il primo a dubitare dell´antichità della Lupa è stato Emil Braun (1854), segretario dell´Istituto di corrispondenza archeologica di Roma, il quale riconobbe nei danni alle zampe dell´animale un difetto di fusione e non i guasti prodotti da un fulmine. Successivamente Wilhelm Fröhner (1878), conservatore del Louvre, ravvisò nella scultura caratteri stilistici attribuibili all´epoca carolingia; infine Wilhelm Bode (1885), direttore del Museo di Berlino, fu parimenti dell´avviso che si trattasse con tutta probabilità di un´opera d´arte medievale. Queste rapide osservazioni nel corso del Novecento caddero in totale oblio.
La Lupa capitolina resta un´opera problematica, dovuta a una personalità artistica di cui occorrerà definire la posizione e il ruolo nel contesto della produzione scultorea, e in particolare bronzea, del Medio Evo nell´Italia centrale. I dati finora acquisiti consistono nell´accertamento del luogo di produzione, circoscrivibile in base alle terre di fusione nella vallata del Tevere da Roma a Orvieto (G. Lombardi, 2002); nel riconoscimento di una tecnica di fusione adottata in età medievale, documentata a partire dal XII secolo (Carruba, 2006); in una serie di analisi (radiocarbonio, termoluminescenza) più volte eseguite negli ultimi anni, che concorrono a indicare un´epoca di produzione compresa tra il secolo VIII dopo Cristo e il secolo XIV; le ultime, ripetute una ventina di volte l´anno scorso, offrono un´indicazione molto puntuale nell´ambito del XIII secolo.
L´autore è stato soprintendente ai beni culturali di Roma

sabato 5 luglio 2008

Gianicolo, ecco i nuovi affreschi della domus

ROMA - Gianicolo, ecco i nuovi affreschi della domus
CARLO ALBERTO BUCCI
SABATO, 05 LUGLIO 2008 LA REPUBBLICA Pagina XIII - Roma

La Soprintendenza: "Ora li copriamo, ma per proteggerli e per studiarli"

E nel terreno accanto dei Torlonia partono le indagini per il parking dell´hotel

Hanno trovato esattamente ciò che cercavano: edicole stilizzate dai colori tenui e dalle linee leggere, dipinte su pareti che sono il proseguimento dei muri affrescati scoperti nel 1999, segati e ricoverati nei musei per far passare le auto nella "rampa Torlonia" sul Gianicolo. Gli archeologi le hanno riportate ora alla luce. Rimuovendo e tesaurizzando una montagna di frammenti, di affreschi di altri edifici, di piccole sculture e di ceramiche di ogni età: un cumulo di memorie del passato versato sopra la dimora del II secolo d.C. nota come "domus di Agrippina". Ma ora la Soprintendenza archeologica statale è pronta a coprire con tessuto e pozzolana quel muro affrescato che fa una "L" dieci metri sotto la strada verso l´ospedale Bambin Gesù. Poi, a fine luglio, le archeologhe della Techne srl sposteranno il cantiere più a monte, davanti all´ex Conservatorio: devono eseguire le "indagini archeologiche preliminari" che, ordinate l´8 maggio, permetteranno di capire se la Società Sant´Onofrio può realizzare nel terreno dei Torlonia il parcheggio sotterraneo per l´albergo a cinque stelle in costruzione.
«Abbiamo riempito due container e circa 10mila cassette di importanti reperti tratti dalla discarica che seppellì la cosiddetta domus di Agrippina» spiega la responsabile dello scavo, l´archeologa della Soprintendenza Fedora Filippi, mentre ci fa strada lungo la scarpata creata scavando dentro il "monte dei cocci" del Gianicolo. «E l´abbiamo fatto eseguendo, a partire dal 2005, uno scavo stratigrafico della domus che ci permetterà ora di studiare meglio anche le parti trovate nel 1999 e allora scavate in fretta per essere asportate. Scavare, restaurare, fotografare, poi coprire, ma per salvaguardare: anche questa è tutela, non solo la musealizzazione».
L´archeologa piemontese non ci sta a passare per il becchino delle bellezze resuscitate. E precisa che «ora non si può parlare di un "rinvenimento di eccezionale rilievo"», condizione che il decreto ministeriale del dicembre 1999 - firmato da D´Alema per superare il "no" del soprintendente di allora, La Regina - riteneva possibile ordinando il proseguimento degli scavi; e ipotizzando addirittura lo smontaggio della "rampa Torlonia" per ricostruire la domus asportata.
Ma anche senza passare per il ripristino, perché non creare un´area archeologica visitabile con ciò che è stato ritrovato adesso? «Siamo scesi molto in profondità e il terreno andrebbe puntellato. E poi ci vorrebbe un progetto importante. La musealizzazione del sito sarebbe molto, molto onerosa dal punto di vista economico». Il muro, arieggiato da un´intercapedine fatta allora ad hoc, dimostra però che la domus costruita nell´area degli Horti di Agrippina Maggiore, un secolo dopo la morte della nipote di Augusto, prosegue sotto la scarpata laterale. Ed esiste un progetto di otto anni fa per portare lì lo scavo realizzando paratie che frenino la terra del declivio. «Anche quello è un progetto dispendioso. È meglio, per ora, coprire e proteggere i ritrovamenti più recenti, per spostare indagine e fondi altrove», ribatte la Filippi. Saranno invece pagati dai Torlonia i sondaggi nell´area più a ridosso del mega hotel. E lì sotto ci potrebbero essere altre domus da favola. «Il parcheggio è previsto su due livelli e oltre la quota archeologica. Abbiamo già realizzato i carotaggi, ma certo non possiamo sapere con esattezza cosa si nasconda su quel fianco del Gianicolo».

Il Sole invincibile. Aureliano riformatore politico e religioso

(recensione)
Beniamino di Dario
Il Sole invincibile. Aureliano riformatore politico e religioso, M. Triggiani
La Gazzetta del Mezzogiorno, 10/10/2004

In uno dei momenti di maggiore crisi per l´antica Roma, nel terzo secolo, quando l´impero era spaccato in tre tronconi, la pressione delle popolazioni barbariche ai confini era sempre maggiore, e c´era anche una crisi politica interna, Aureliano, divenuto imperatore nel 270, raggiunse l´obiettivo di una grande riforma politica e religiosa. Il regno dell´imperatore illirico fu breve (solo cinque anni, fino al 275) ma riuscì, con una serie di vittorie militari e di riforme politiche, a riunire l´impero, a evitare lo sfascio dello Stato riaffermando una religiosità solare e pagana e il 25 dicembre del 274, nel campo Marzio, fu innalzato un tempio al Dio Sole. Beniamino di Dario, studioso dell´antica Roma ("Il Sole invincibile. Aureliano riformatore politico e religioso", Ar), riassume e interpreta l´opera di Aureliano soprattutto da un punto di vista religioso e metafisico.